Istitutore pedagogo on line

Percorrendo le viuzze intorno alla cattedrale della mia città, mi è capitato qualche tempo fa di incontrare un ex professore di università che abita nei pressi: da allora ci incrociamo spesso e ci salutiamo cordialmente da quando gli ho ricordato di essere un suo ex-allievo. A volte scambiamo qualche breve battuta. Era insegnante di diritto pubblico alla facoltà di economia e commercio, ora è in pensione: sì, allievo e maestro, entrambi in pensione. Ebbene il dialogo, seppure a grande distanza di tempo, è risbocciato con grande reciproca soddisfazione.

Ecco perché sono perfettamente d’accordo con gli illustri personaggi della cultura, i quali sostengono che la scuola è socialità e non si rimpiazza con monitor e tablet. Lo ribadisce, con la solita verve polemica, anche il professor Massimo Cacciari. In questo periodo in cui la scuola e l’università sono state costrette a funzionare sulle ali del web sono stato invaso da un grande senso di tristezza: la forzata riscoperta del nozionismo condito in salsa informatica. Quando ripercorro la mia vita scolastica, lo faccio spesso e volentieri, sono solito partire dagli insegnanti, dai loro messaggi, dai loro insegnamenti più di vita e di cultura che di materie in senso stretto. Tanti bei ricordi. Quando ho presentato pubblicamente il mio primo libro mi sono trovato davanti la mia ex insegnante d’Italiano: eravamo entrambi commossi, perché la vita si sposava perfettamente con la scuola.

Per non parlare dell’università: quanta soddisfazione quando un docente di ragioneria mi ha chiesto di tenere alcune conferenze in materia di bilancio delle società cooperative nell’ambito di un corso speciale organizzato dal suo istituto. Era la riprova vivente di quello che avevo sempre pensato: l’università non mi aveva fornito solo nozioni di alto livello scientifico, ma mi aveva insegnato anche e soprattutto a ragionare, a studiare, a legare scienza e vita professionale. E in questa mission universitaria erano stati fondamentali l’aspetto umano, il dialogo con i docenti e con i colleghi, la partecipazione alle discussioni nei seminari. Sarò un retrogrado, e a quanto pare sono in buonissima compagnia, ma non riesco a rassegnarmi ad una fredda, distanziata e distaccata impostazione digitale dell’insegnamento e dell’apprendimento.

La ministra Azzolina sostiene che la scuola ha bisogno del digitale: sarà vero, ma non illudiamoci di reimpostare la scuola informatizzandola. Docenti, allievi, famiglie e tutto il personale scolastico stanno facendo i miracoli per tenere accesa on line la fiaccola. Finita l’emergenza non dovremo mettere la fiaccola sotto il moggio, ma nemmeno pensare di convertire tutto il sistema al digitale. Fino a prova contraria a scuola ci si dovrebbe andare per imparare e per imparare bisogna concentrarsi sulle materie proposte e non girarci intorno, occorre andare a fondo, capire, memorizzare, discutere, approfondire, etc. etc. Per raggiungere questi scopi esiste il docente che si avvale di strumenti, dai libri alle lavagne più o meno luminose. Gli smartphone servirebbero, ma non dovrebbero bypassare gli insegnanti e distrarre gli alunni, emarginando quindi i protagonisti e facendo dominare la scena al web, questa creatura impalpabile, sgusciante e fuorviante.

Nella mia vita professionale ho fatto in tempo ad usufruire, a livello convegnistico, della proiezione di slide, per seguire le quali rinunciavo a prendere appunti, seguendo il ragionamento del conferenziere di turno, che commentava e interpretava le slide stesse. Quando a distanza di qualche tempo, rispolveravo i contenuti del convegno, non mi ricordavo più niente, sfogliavo le slide e non mi dicevano nulla, appunti non ne avevo, tutto si era volatilizzato. Gli appunti, i sani appunti, i libri, i sani libri dove erano finiti? Tra di me pensavo, se tanto mi dà tanto, agli studenti, che si formano sulla base di queste metodologie d’avanguardia, alla fine cosa rimarrà in testa.

Il tempo è passato e il problema si è drammaticamente ingigantito in conseguenza del coronavirus. È vero che ogni strumento non è buono o cattivo di per sé, ma la sua positività e utilità dipendono dall’uso che ne viene fatto, ma è altrettanto vero che non si può mettere un coltello in mano a un infante. Mio padre non voleva che mia sorella, da piccola, usasse aghi e forbici per imparare a cucire (mia madre oltretutto faceva la magliaia e poteva sovrintendere con una certa cognizione di causa): temeva che si potesse infilzare gli occhi e non era una preoccupazione assurda, un timore da matusa.

Non so se la scuola on line possa essere considerata pericolosa in assoluto, non vorrei esagerare, ma certamente non è il modo ideale per frequentare al meglio le aule scolastiche, rendendole virtuali. Con buona pace della ministra, dei rivenditori di computer e smartphone e di chi pensa che il cervello (e il cuore) possa essere sostituito da una macchinetta prodigiosa. Penso di essermi spiegato anche se sono sicuro di venire conseguentemente catalogato nella categoria dei retrogradi.  Pazienza, l’età e la mentalità lo possono comportare.