Il cuore oltre la politica

Davanti alle lacrime di commozione di qualsiasi persona sono portato a chinare il capo in segno di grande rispetto e a solidarizzare umanamente. Perché non dovrebbe valere per una persona investita da funzioni politico-istituzionali? Perché pretendiamo da un ministro o da una ministra che ostenti atteggiamenti da superuomo o da superdonna? Poi magari ci lamentiamo perché i politici sono lontani dai problemi e dalle sofferenze dei cittadini!

Davanti al pianto di Teresa Bellanova, ministra dell’agricoltura, ho avuto un moto di grande ammirazione: vi ho visto la soddisfazione per una battaglia di civiltà effettuata nel sindacato e in politica a favore dei soggetti più deboli e indifesi. Tanto di cappello nel merito e nel metodo! Ho avuto conferma del notevole livello umano ed etico di questa donna anche leggendo la notizia che riporto di seguito.

Resterà un giocatore del NibionnOggiono (Lecco) Davide Castagna, l’attaccante del campionato di serie D finito sotto accusa per aver pesantemente insultato su Facebook il ministro delle Politiche agricole, Teresa Bellanova. L’atleta aveva scritto commenti offensivi nei confronti del ministro che recentemente aveva minacciato le dimissioni dopo aver chiesto la regolarizzazione di numerosi lavoratori agricoli. La società calcistica, venuta a conoscenza del comportamento del giocatore, aveva in un primo tempo sospeso Castagna e quindi aveva anche annunciato la risoluzione immediata del contratto.

Ieri però il ministro Bellanova, venuta a sua volta a conoscenza delle offese, ha ringraziato chi le aveva espresso solidarietà, condannando l’accaduto, apprezzando il comportamento della società, ma chiedendo che l’attaccante non venisse licenziato, visto il delicato momento che il Paese sta vivendo e certa che lo stesso avrebbe capito la gravità dell’accaduto. Oggi il calciatore si è detto pentito, scrivendo una lettera al ministro, scusandosi e promettendo che farà tesoro dell’errore commesso. A quel punto il NibionnOggiono (serie D girone B) ha annunciato di aderire all’invito del ministro e, pur ribadendo la condanna dell’episodio, ha accettato di reintegrare l’atleta, particolarmente noto nell’ambiente per aver anche a lungo giocato nel Lecco e conosciuto dai tifosi come “Il Toro di Civate”.

Sono portato molto facilmente a commuovermi. Qualcuno sorridendo penserà che sto invecchiando: realtà anagrafica inconfutabile. La propensione alla commozione è però un irrinunciabile dato del mio carattere, della mia sensibilità, di cui non mi vergogno affatto. Quindi sono propenso a prendere sul serio la commozione altrui, la ritengo una delle più alte espressioni di umanità. Nella nostra epoca lo consideriamo ironicamente e/o malignamente un segno di debolezza o una facile e comoda captatio benevolentiae, mentre è invece un sintomo di grande forza interiore. Smettiamola di confondere la durezza con la capacità di decidere e di gestire. Vale anche per i politici.

Diffido in politica da chi ostenta sicurezza. Molti anni or sono, in un confronto televisivo tra l’intelligente e brillante giornalista-conduttore Gianfranco Funari e l’allora segretario del partito popolare Mino Martinazzoli, uomo di grande profondità etica e culturale, il politico, interrogato e messo alle strette, non si fece scrupolo di rispondere in modo piuttosto anticonvenzionale ed assai poco accattivante, ma provocatoriamente affascinante, nel modo seguente (riporto a senso): «Se lei sapesse quante poche certezze ho e da quanti dubbi sono macerato… Nutro perplessità verso chi ostenta troppe certezze». L’esatto contrario dell’attuale cliché che vuole tutti pronti a sputare sentenze su tutto.

Ben vengano le lacrime a lavare anche la politica. Qualcuno ha sottilizzato sui motivi per cui occorrerebbe piangere. Sono tanti. Teresa Bellanova lo ha fatto in difesa degli immigrati e dei lavoratori sfruttati e senza diritti. Non credo abbia sbagliato il colpo. Forse bisognerebbe piangere anche per la faziosità e la strumentalità di tanti politici, che sostengono a parole di essere col popolo per poi irritarsi per la considerazione prestata ai soggetti più deboli del popolo, cioè di quanti vivono e lavorano nel nostro Paese senza avere alcun riconoscimento giuridico, economico e sociale.