Gli affetti della mozione

Ogni giorno esce una novità che rende sempre più incerta e inquietante la situazione che stiamo vivendo. Emerge purtroppo che i risultati delle analisi effettuate sui tamponi sono assai discutibili e in molti casi si sono rivelati inattendibili e in netto contrasto con l’evidenza della malattia.

Ciò che preoccupa è l’idea che il tampone possa non essere uno strumento efficace a individuare chi ha il Covid. Un uomo di 41 anni di Chiavari è per esempio deceduto in Liguria lo scorso 27 aprile per Covid anche se il tampone non aveva segnalato alcun contagio. A Taranto 45 pazienti su 100 sono risultati negativi a due tamponi nonostante avessero contratto la malattia.

Nell’ultimo mese e mezzo la Covid-19 Station del 118 di Taranto ha trattato 283 casi sospetti, di cui il 74,2% con sintomi compatibili con la malattia ma negativi sia al tampone che alla Tac, il 13% era positivo sia a tampone che Tac, mentre il 12% è stato positivo alla Tac ma non al tampone. «È evidente che i tamponi possono non rilevare la positività, questo dato emerge dalla nostra esperienza e il numero è decisamente alto – dice Mario Balzanelli, presidente nazionale della Sis, Società Italiana Sistemi, vale a dire la consulta dei dirigenti responsabili delle centrali operative 118, – il che ci induce a ritenere che il numero attuale di positivi alla malattia sia di molto sottostimato. E se circa 50 pazienti su 100 (positivi) sono risultati negativi a due tamponi nonostante avessero la malattia, vuol dire che sfugge alla contabilità dei contagi praticamente la metà degli infetti».

C’è da perderci la testa e da farsi ulteriormente tremare le vene ai polsi. La conclusione che da tempo si era intuita e che, giorno dopo giorno, viene accreditata è che della malattia si conosca ben poco, non esistano certezze sulla diagnosi, dalla cura siamo lontani mille miglia, di vaccino meglio non parlarne. E pensare che la politica si basa sulla scienza: andiamo bene. Siccome la politica è l’arte del possibile sarà meglio relativizzare i mutevoli responsi degli addetti ai lavori, non per svaccarli, ma per utilizzarli con equilibrio.

Non ne faccio una colpa a scienziati, virologi e medici, ma un po’ più di sobrietà e di umiltà non guasterebbe: è inutile dire e disdire con una certa facilità davanti ad un dramma simile. Nel momento in cui finalmente i pubblici poteri sembrano avviare uno screening largo, mirato e monitorato, emergono seri dubbi sull’attendibilità dei test. Così si torna in modo sconfortante, se non disperante, al buio degli inizi. Dobbiamo sicuramente convincerci che la medicina non è una scienza esatta e che bisogna fare i conti con l’incertezza a trecentosessanta gradi.

Più si procede e più si coglie il dramma di una pandemia, che non si sa da che parte prendere. Credo che la relativa e provvisoria conclusione sia quella di farsi guidare tutti, ripeto tutti, dal buon senso e dalla buona volontà, parlando il minimo necessario e remando tutti nella stessa direzione. È poco, ma al momento credo sia tutto. Evitiamo cioè di collocare la pandemia coronavirus a livello di U.c.a.s., ufficio complicazione affari semplici, con l’enorme aggravante che la realtà che stiamo vivendo non è affatto semplice: siamo maestri nel complicare le cose semplici, immaginiamoci quelle difficili. Calma e gesso! Proviamo tutti, ripeto tutti, ad essere seri e a vivere con la testa sulle spalle e il cuore aperto a chi soffre. Non è la mozione degli affetti, ma l’affetto dell’unica mozione possibile.