I bar di benpensanti e malpancisti sono sempre aperti

Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede sta studiando una norma che consenta ai magistrati di sorveglianza di rivalutare le scarcerazioni già disposte di boss della criminalità organizzata alla luce del mutato quadro dell’emergenza Coronavirus. Lo si apprende in ambienti di via Arenula. Gran parte delle scarcerazioni sono state disposte per gravi patologie, ma molte ordinanze fanno esplicito riferimento all’emergenza da Covid-19.

“Il ministro Bonafede rimanderà in carcere tutti i boss scarcerati? È un quadro che il ministro della Giustizia sta approfondendo, probabilmente laddove ci sono aperture mi sembra un’ottima soluzione potere individuare spiragli in cui almeno i più pericolosi possano rientrare in carcere”, ha detto il Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho commentando l’annuncio del Guardasigilli di “fare tornare in carcere i boss detenuti scarcerati”. A questo illustre magistrato va tutto il mio rispetto anche perché non combatte contro i ladri di polli, ma contro una delinquenza che non fa sconti a nessuno. Però mi permetto di pensare che la guerra alla mafia si faccia con le indagini, con i processi, con le condanne dei colpevoli, finanche con la carcerazione dura, ma non con l’accanimento e la spietatezza a livello di trattamento dei carcerati in gravi difficoltà di salute o addirittura in pericolo di vita.

Tra coloro che hanno usufruito degli arresti c’è uno dei carcerieri del bimbo sciolto nell’acido: l’uomo, che tenne segregato il figlio del pentito Santino Di Matteo nell’estate del 1994, è anziano e malato ed è tornato nella sua casa di Geraci Siculo per il pericolo che potesse contrarre in carcere il Coronavirus. Questo in applicazione delle norme tendenti a ridurre il numero delle persone detenute nell’attuale periodo di emergenza.

“Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”, lo diceva Voltaire nel 1700. È passato un po’ di tempo, ma non ce ne siamo ancora convinti: ogni occasione è buona per trasformare la carcerazione in subdola pena di morte. La dice lunga al riguardo la condizione carceraria in generale, addentrandosi nella quale c’è di che inorridire. Non è parso vero quindi ai benpensanti di scandalizzarsi perché alcuni condannati per reati mafiosi sono stati messi agli arresti domiciliari a causa del coronavirus, che, come è facile intuire, nell’ambiente carcerario trova le condizioni ideali di contagio, di malattia e di morte.

Ci ha lasciato le penne il capo dipartimento delle carceri in odore di leggerezza nel concedere il beneficio anche a boss mafiosi: o era un incompetente ed un superficiale oppure ha agito in base a norme, disposizioni e regole riguardanti la salute pubblica, anche quella dei detenuti. Il ministro, peraltro trascinato in una devastante polemica scatenatasi a latere, vuole addirittura proporre una norma in base alla quale si possa tornare a riesaminare i casi: si tratta di populismo bello e buono di stampo ultra-giustizialista (i grillini sono capaci anche di questo).

Suscita scalpore il fatto che la salute di una persona responsabile di un orrendo delitto possa essere difesa e salvaguardata nei limiti del possibile. Posso capire la reazione psicologica della gente. Il ragionamento è questo: forse lo Stato non sta facendo il massimo per difendere la salute dei cittadini onesti e si preoccupa di salvare la vita a un mafioso condannato all’ergastolo per un orrendo delitto. Il discorso è mal posto e mal affrontato. Non esiste fortunatamente nel nostro ordinamento una norma che misconosca il diritto fondamentale alla vita per una persona colpevole e condannata: la pena non prevede un simile supplemento anche in caso di coronavirus. Quindi stiamo chiacchierando di niente. Il ministro, da par suo, sta aggiungendo confusione a confusione, tentando disperatamente di recuperare la faccia, persa da tempo per incapacità a gestire un settore importante e delicato come quello della giustizia.

Non affronto la questione etico-giuridica sulla natura della pena, da cui peraltro dovrebbe muovere ogni discorso serio in materia di carcerazione. Mi limito a brevissime considerazioni politiche: lascio a Matteo Salvini e Giorgia Meloni l’opportunità di cavalcare vergognosamente simili polemiche, ma da un ministro mi attenderei un atteggiamento più serio, obiettivo, responsabile ed istituzionale. Il ministro della giustizia deve rispondere ai mal di pancia dei bar (peraltro chiusi in questo periodo, ma apertissimi alle strumentalizzazioni destrorse) all’affannosa ricerca del consenso purchessia, oppure deve governare con la costituzione, la legge e i regolamenti alla mano e in collaborazione con i funzionari pubblici investiti delle cariche per l’amministrazione della giustizia? Domanda retorica fino ad un certo punto.