Uno strano rigurgito poco eucaristico e molto clericale

Pur ammettendo di essere un cristiano di ultima serie, e lo sono veramente, confesso che la messa partecipata e vissuta comunitariamente mi manca, anche se, quando potevo, finivo magari col partecipare in modo superficiale, sbrigativo e soprattutto sganciato dall’impegno nel quotidiano.

Ammetto anche di non essermi mai sentito legato alla Chiesa come in questo momento: ai suoi pastori devo dare atto di grande vicinanza al gregge. Fatto straordinariamente positivo per l’incallito e pedante spirito critico che mi ritrovo, a cui peraltro non rinuncio. In questo mi sento perfettamente in linea con mia sorella Lucia, la quale mi ha fatto da battistrada e da esempio nella partecipazione convinta ma critica alla vita ecclesiale.

Ecco perché mi sento di esprimere un pur rispettoso dissenso rispetto all’allarmistica reazione dei vescovi italiani riguardo al protrarsi del divieto di celebrare la messa con la partecipazione dei fedeli, motivato dal discorso del distanziamento sociale contro il coronavirus. Improvvisamente siamo passati dal fin troppo accondiscendente giudizio della fase uno al netto e aspro rifiuto nella fase due, arrivando persino a configurare una sorta di attentato alla libertà di culto.

Per la verità tutta l’azione governativa in materia di coronavirus ha viaggiato e sta viaggiando sul filo del rasoio delle libertà costituzionali: non sono sicurissimo che, a livello concettuale e procedurale, tutto stia avvenendo nel rispetto dei diritti irrinunciabili delle persone, pur sacrificati, in buona fede e con retta intenzione, sull’altare della difesa della salute dei cittadini.

Sul piano civile mi sembra che le sommesse, ma inequivocabili e convincenti, parole del Papa possano mettere fine ad un possibile quanto assurdo conflitto Stato-Chiesa a margine dell’emergenza coronavirus.  Francesco ha presieduto la Messa a Casa Santa Marta nel martedì della III settimana di Pasqua. Nell’introduzione, pensando al comportamento del popolo di Dio di fronte alla fine della quarantena, ha detto: “In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni”.

Per quanto riguardo l’aspetto religioso della questione riporto alcune significative, provocatorie e schiette frasi di padre Alberto Maggi, un monaco di grande spessore biblico, teologico e culturale: “Se ci sono luoghi veicolo di infezioni, questi sono proprio le chiese, perché la gente tocca, bacia, sbaciucchia… Io combatto quotidianamente con persone che dicono: “Ma io ho fede”. Ed io rispondo che il virus non va a vedere chi ha fede e chi no. Quindi le chiese vanno chiuse, è necessario chiuderle. Si è insistito troppo sull’incontro con il Signore dentro la chiesa, e questo ha fatto sì che poi, uscendo, ci si dimentica di Dio. Il Signore non è presente soltanto dentro una chiesa, ci aspetta soprattutto fuori, quando ci mettiamo a servizio degli altri. Lì c’è la presenza di Dio. L’eucaristia è il momento centrale della vita della comunità cristiana. Ma in molte aree geografiche del mondo, pensiamo all’Amazzonia, alcune comunità se vedono il prete e celebrano la messa una volta l’anno è un miracolo! Forse per questo sono meno cristiani? Questa chiusura forzata e questo digiuno eucaristico ci fanno riscoprire la presenza di Gesù anche nella Parola. La messa in streaming proprio non la capisco, non può essere celebrata in streaming, la messa ha bisogno delle persone presenti. È come se mi prepari un bel dolce e poi lo mangi solo tu. Noi facciamo la lettura della Parola, ma la messa ci siamo sempre rifiutati di farla. Meglio altre celebrazioni, come appunto quelle della Parola. Dio si fa pane e diventa nutrimento per gli altri. Ma questo pane non è soltanto nell’eucaristia, è anche nella Parola. È ugualmente pane. È presenza di Dio. E ci aiuta a farci pane per gli altri. Per farci pane, dobbiamo ricevere questo pane. Se adesso non è possibile la celebrazione eucaristica, facciamo la celebrazione della Parola. E la Parola ci nutre. Poi quando tutto questo sarà finito, allora torneremo a celebrare con una gioia ancora più grande”.

Mi trovo sulla linea tracciata da padre Maggi, infatti quando seguo la messa in televisione riesco a stare molto concentrato sulla liturgia della Parola, poi sulla parte eucaristica faccio fatica ad immedesimarmi e preferisco fare i miei dialoghi direttamente con Dio. Sto cercando di mettere molto impegno nell’approfondimento della Parola, guidato anche dal Papa con le sue splendide omelie. Non basta leggere, riflettere, pensare, bisogna agire e qui casca l’asino… Interpreto la religione in chiave di impegno verso gli altri, anche se in tal senso combino poco.

Non vorrei che, come afferma provocatoriamente padre Maggi, “il problema fossero i preti, che sono cresciuti, educati e abituati al rito, per cui senza il rito si sentono persi, smarriti, vanno fuori di testa, non sanno più cosa inventarsi”. Rispunta il mio spirito anticlericale, anche se ho uno zio sacerdote come santo protettore, ho avuto e ho amicizia con tanti sacerdoti che mi sono stati maestri di fede autentica. Proprio per questo credo che i vescovi e il clero non si debbano perdere nel bicchiere d’acqua della polemica col governo sulle messe vietate: sarebbe meglio sostituire alle polemiche, su cui qualcuno sta strumentalmente soffiando, un’elaborazione propositiva di idee per la società del dopo-coronavirus.