Le allegre comari della scienza

La polemica tra gli scienziati è purtroppo cosa abbastanza solita. In questi giorni è nata e divampata dalle dichiarazioni dello scienziato professore di virologia Giulio Tarro, fino al 2006 primario a Napoli: «In estate saremo immuni dal virus: il Coronavirus ci abbandonerà tra un mese, come tutti i corona influenzali». Il suo collega del San Raffaele di Milano Roberto Burioni ha risposto provocatoriamente: « Se Tarro è virologo da Nobel, io sono Miss Italia».  Il direttore emerito del reparto di Virologia dell’ospedale Cotugno di Napoli a sua volta ha controbattuto: «Su una cosa ha ragione: lui deve fare solo le passerelle come Miss Italia, ma senza aprire bocca”. Tarro all’epoca dell’epidemia di colera ne isolò per primo il vibrione e per questo fu due volte candidato al Nobel. Nella polemica è intervenuto anche il deputato Gianfranco Rotondi che ha twittato: “Io non spalleggio né Tarro né altri. Riporto una tesi che alimenta speranza, punto. Dopodiché ricordo che Tarro da primario del Cotugno piegò il colera del 73, questi fin qui hanno fatto solo interviste”. Poteva mancare un politico nella inutile diatriba?

Uno spettacolo indecente. Recentemente papa Francesco ha pregato espressamente per scienziati e ricercatori: mi sembra che ne abbiano effettivamente bisogno. Ha però anche analizzato puntualmente quali sono i punti critici della comunità cristiana e, aggiungo io, di ogni comunità, anche di quella scientifica: i soldi, la vanità e il chiacchiericcio. La querelle di cui sopra è certamente specchio fedele di contrasti dovuti al secondo e terzo dei punti critici evidenziati dal papa.

Il Qoèlet, libro biblico in cui l’autore si propone di rispondere all’interrogativo sul senso della vita, col suo melanconico ritornello «Vanità delle vanità, tutto è vanità», designa ciò che è inutile, che non ha valore nel tempo, che sfocia in una sensazione di insoddisfazione. Non è la sua sentenza sulla vita in generale, ma solo sull’errato atteggiamento dell’uomo che considera il mondo come fine a se stesso e fa dei piaceri lo scopo unico della sua vita. Vale purtroppo anche per chi è in alte faccende affaccendato e si presumerebbe potesse avere un approccio più serio e profondo all’esistenza.

Prima ancora che il coronavirus diventasse realtà, gli scienziati hanno cominciato a blaterare: chi lo assimilava ad una semplice influenza, chi lo riteneva un grave pericolo, chi, soprattutto con l’andare del tempo, oscillava tra una tesi e l’altra. E siamo ancora lì. Mio padre rimarrebbe spiazzato, lui che amava mettere a confronto il fanatismo delle folle di fronte ai divi dello sport e dello spettacolo con l’indifferenza o, peggio, l’irrisione verso uomini di scienza o di cultura. Diceva: “Se a Pärma a véna Sofia Loren i corron tutti, i s’ mason par piciär il man, sa gnìss a Pärma Fleming i gh’ scorèzon adrè”. Il mondo è cambiato e anche gli scienziati si comportano come divi e si lasciano coinvolgere volentieri nel circo mediatico. Se i giornalisti e i conduttori televisivi la smettessero di andarli a intervistare inducendoli in tentazione e se loro la smettessero di azzardare opinioni in libertà, saremmo tutti contenti e ci potremmo illudere che questi smettessero o almeno cercassero di chiacchierare meno per ottenere qualche risultato in più.

A fronte di scienziati e ricercatori che parlano a ruota libera voglio sperare ce ne siano parecchi che lavorano nell’ombra con grande serietà, discrezione e impegno. A loro va il mio plauso ed a loro sono affidate le mie speranze. Sì, perché dopo Dio, chi ci può veramente aiutare a saltar fuori da questo gigantesco ginepraio sono gli uomini di scienza, purché non puntino direttamente o indirettamente ai soldi, al prestigio e a duellare fra di loro. Per favore aiutateci e lasciate perdere ciò che non ha valore nel tempo.