“Andrà tutto bene” è lo slogan che va per la maggiore, più demenziale che incoraggiante, scritto in buona (?) fede su striscioni e cartelloni. Circola, così mi hanno detto, un video/bufala in cui un balcone, su cui era esposto lo slogan di cui sopra, crolla, lasciando un cumulo di macerie sul terreno sottostante. L’assurdità della frase, balcone a parte, è abbastanza evidente. Come possa andar tutto bene, con centinaia di morti al giorno, con sofferenze pazzesche di chi muore e di chi sopravvive, con angosce generalizzate, è difficile da immaginare anche per i più alienati e alienanti ottimisti.
Forse nel bel mezzo di una vicenda, a mio giudizio al momento senza vie d’uscita, bisogna sfoderare le illusioni per sopravvivere. Abbiamo vissuto di paure: per l’invasione degli immigrati, per l’insicurezza da delinquenza, per l’incertezza del futuro. Improvvisamente, rintronati dallo shock da pandemia, proviamo a vivere di illusioni. Slogan per slogan, si dovrebbe trovare un’espressione un po’ più ragionevole, un “ce la faremo”, un “non molliamo” o roba del genere. Non sappiamo nemmeno farci coraggio seriamente, preferiamo evadere: lo stiamo facendo da molto tempo e non riusciamo a liberarci da questo stato d’animo deresponsabilizzante.
Da una parte siamo martoriati da una pioggia battente di fake news: non so se siano più fake quelle che girano sui social, esorcizzate da tutti e bevute da (quasi) tutti, o quelle ufficiali provenienti delle autorità competenti (?). Dall’altra parte siamo invogliati a negare la drammatica evidenza per sfuggire al “brutto sogno” che stiamo facendo.
La triste realtà è che del coronavirus non abbiamo capito ancora niente e stiamo brancolando nel buio: non sappiamo da dove venga, come si propaghi, come si possa combattere e, ancor meno, come si possa vincere. Sappiamo solo che si muore di polmonite e, se andiamo avanti così, di paura. Mi fanno incazzare le previsioni arzigogolate sull’andamento dei contagi e sulla mortalità conseguente. Stando alla protezione civile, il dato ultimamente incoraggiante sarebbe quello dell’aumento delle guarigioni: pazienza se avvengono con l’accompagnamento dell’aumento dei decessi.
L’altra sera, in una delle stucchevoli conferenze stampa, il premier Giuseppe Conte ha fatto una lezioncina sul rapporto tra indicazioni scientifiche e scelte politiche. Non bastano le une e non possono viaggiare autonomamente le altre: giustissimo! La questione è che mancano sostanzialmente le une e le altre. Basti pensare che gli esperti non sono d’accordo nemmeno sulla distanza da tenere fra le persone per difendersi dal contagio: un metro? due metri? La politica può scegliere un metro e mezzo! Vogliamo smetterla di prenderci per i fondelli?
In un clima del genere è normale che aumenti la trasgressione alle regole imposte. Il ragionamento sbagliato, ma spontaneo, che probabilmente e desolatamente si sta facendo strada, anche in me, è il seguente: se l’isolamento forzato e tutte le altre menate varie non funzionano, non danno risultati, tanto vale…I tempi stanno diventando infiniti e tali da chiedersi se il gioco valga la candela. Ecco allora che spunta l’altro slogan che va di moda, sui canali televisivi, negli inviti dei vip, negli hashtag sui social: “io resto a casa!”. Da uno slogan all’altro, tutto sempre più demenziale ed opportunistico. L’unico invito accettabile e realistico potrebbe essere: “siamo seri e responsabili!”. Sì, perché la serietà e il senso di responsabilità sono al momento gli unici antivirus di qualche efficacia.