Il premier Conte e altri otto leader europei, tra i quali il presidente francese Emmanuel Macron, hanno firmato una lettera congiunta per chiedere alla Unione europea la creazione dei “Coronabond” per fronteggiare la crisi economica dovuta alla pandemia. La missiva è stata siglata da Italia, Spagna, Francia, Portogallo, Slovenia, Grecia, Irlanda, Belgio e Lussemburgo. La lettera dei nove leader europei indirizzata al presidente del Consiglio d’Europa, il belga Charles Michel, chiede in sostanza l’adozione di misure urgenti per contrastare l’emergenza coronavirus e crea di fatto un fronte contrapposto a quello del rigore rappresentato da Germania e Olanda.
“Dobbiamo riconoscere – scrivono i leader – la gravità della situazione e la necessità di un’ulteriore reazione per rafforzare le nostre economie oggi, al fine di metterle nelle migliori condizioni per una rapida ripartenza domani. Questo richiede l’attivazione di tutti i comuni strumenti fiscali a sostegno degli sforzi nazionali e a garanzia della solidarietà finanziaria, specialmente nell’Eurozona. In particolare, dobbiamo lavorare su uno strumento di debito comune emesso da un’istituzione dell’Ue per raccogliere risorse sul mercato sulle stesse basi e a beneficio di tutti gli Stati Membri, garantendo in questo modo il finanziamento stabile e a lungo termine delle politiche utili a contrastare i danni causati da questa pandemia”.
Ecco allora che la sfida posta dall’emergenza sanitaria e l’arrivo dei “corona bond”, emessi eventualmente dalla Banca Europea per gli Investimenti, per finanziarie tutte le spese destinate all’emergenza da non includere nel deficit, potrebbe riaprire la strada agli Eurobond, costituendone un “antenato” ed un precedente importante per disegnare il futuro dell’Unione fiscale.
I coronabond diventerebbero il veicolo comune per raccogliere le risorse finanziarie al minor costo possibile, superando le difficoltà dei Paesi più deboli e più indebitati, che singolarmente farebbero fatica a trovare le risorse monetarie se non a prezzi esorbitanti. Speriamo che i Paesi cosiddetti rigoristi, vale a dire i difensori intransigenti di una finanza pubblica austera, comprendano che quando la casa brucia non si può dissertare sul chi debba spegnere l’incendio e a chi spetti sostenerne i costi.
Da parte sua l’ex presidente della Bce in un intervento sul Financial Times suggerisce ai governi di intervenire subito a sostegno dell’economia, perché perdere tempo potrebbe significare sprofondare in una recessione dalla quale sarebbe molto difficile venir fuori. Tutte le risorse devono essere mobilitate per proteggere le imprese e i lavoratori, comprese quelle del settore finanziario.
“Una tragedia di proporzioni bibliche”: è in questi termini che l’ex presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi parla della pandemia da coronavirus. Non solo per la perdita di vite umane, ma anche per le conseguenze economiche. I governi, scrive Draghi, devono mobilitare tutte le risorse disponibili, non importa se il costo è l’aumento del debito pubblico perché l’alternativa, “una distruzione permanente della capacità produttiva e quindi fiscale, sarebbe ancora più dannosa per l’economia” e in futuro per la credibilità dei governi.
Agire, agire subito, senza remore per i costi del debito anche perché, “visti i livelli attuali e probabilmente anche futuri dei tassi d’interesse”, rimarranno bassi. “Livelli più elevati di debito pubblico diventeranno una caratteristica economica e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato”, ribadisce Draghi, il quale
elogia le azioni intraprese finora dai governi europei, definendole “coraggiose e necessarie” e sicuramente degne di sostegno. Ma non bastano: il costo economico sarà enorme, e inevitabile. “Una profonda recessione è inevitabile”. L’importante è che non diventi la tomba dell’Europa: “è il compito specifico dello Stato – scrive Draghi – utilizzare le proprie risorse per proteggere i cittadini e l’economia dagli shock dei quali il settore privato non è responsabile, e che non può assorbire”. È sempre successo, e non a caso Draghi cita la Prima Guerra Mondiale. Di fronte a una guerra non resta che una mobilitazione comune. E “come europei” siamo chiamati “a darci supporto l’un l’altro per quella che è, in tutta evidenza, una causa comune”
“In primo luogo bisogna evitare che le persone perdano il loro lavoro”, raccomanda Draghi, altrimenti “emergeremo dalla crisi con un livello di occupazione stabilmente più basso”, e le famiglie faranno fatica a ritrovare un loro equilibrio finanziario. Per questo non è sufficiente rinviare il pagamento delle tasse: bisogna immettere subito liquidità nel sistema, e le banche devono fare la loro parte, “prestando danaro a costo zero alle imprese” per aiutarle a salvare i posti di lavoro. Subito: “i costi dell’esitazione potrebbero essere irreversibili”. La memoria delle sofferenze degli anni 20 “dovrebbe metterci in guardia”.