Farneticazioni da isolamento

Se è vero che non esiste vera fede senza dubbi, dovrei essere sulla strada giusta del credente: di dubbi ne ho tanti e, in questo periodo stanno diventando sempre più angosciosi. Riguardano il vivere civile e religioso in un doloroso e sconvolgente passaggio epocale come quello che stiamo attraversando in compagnia di un virus, che ci sta mettendo a nudo nelle nostre debolezze e vergogne.

Per certi versi questi interrogativi sono simili a quelli che ci turbarono durante la prigionia di Aldo Moro. Si doveva trattare coi sedicenti rivoluzionari delle brigate rosse oppure si doveva resistere all’attacco schierandosi in strenua difesa del sistema? La ragion di Stato esigeva il sacrificio del prigioniero e fu la morte di Aldo Moro, che non portò peraltro alcun bene alla nostra democrazia, privandola di quella terza fase evolutiva nei rapporti politici della cui mancanza soffriamo tutt’oggi e, forse, soffriremo per sempre.

Il coronavirus ci sta prendendo in ostaggio e noi gli abbiamo dichiarato guerra aperta a tutti i costi, costi quel che costi: una strana ed eticamente sensibile versione della ragion di Stato, che esige l’isolamento di tutti, dalla culla alla bara, la sospensione della vita per difendere la vita, la pausa esistenziale per proteggere l’esistenza.

Il filosofo Massimo Cacciari, nel primo periodo epidemico, sollevò un interrogativo alquanto profondo: per difenderci dalla malattia a livello personale attenzione a non creare i presupposti per il diffondersi di malattie sociali. Si riferiva alla mancanza di lavoro con tutti i conseguenti effetti negativi facilmente immaginabili.  Il discorso si può allargare ad altri mali sociali quali la discriminazione, il razzismo etc. etc. Il primo dopoguerra ci regalò il fascismo, il secondo fu incanalato sui sentieri della democrazia ad opera dei reduci resistenziali. Sarebbe in un certo senso come sperare che il tessuto sociale devastato dalla guerra al coronavirus possa essere ricomposto dai resistenti operatori socio-sanitari impegnati nelle montagne ospedaliere dell’unica vera guerra che conta. Sono loro a tenere alta la fiaccola della solidarietà, mentre noi aspettiamo “l’arrivo degli alleati”, cioè degli scienziati che sbarchino ad Anzio col vaccino.

Oltre tutto vedo in atto una strisciante saldatura tra “ragion di Stato” e “ragion di Chiesa”. Papa Paolo VI fu bloccato davanti alla Brigate rosse, costretto ad emendare il suo appello con l’inserimento dell’espressione “senza condizioni”, che chiudeva ogni spazio residuo di trattativa: si piegò in modo sofferto al partito della rigorosa e frontale guerra al terrorismo. Papa Francesco rischia di rimanere bloccato davanti al coronavirus ed alle regole imposte per sconfiggerlo (?). Come interpretare la sua uscita stradale verso l’adorazione del Crocifisso, se non come il segno di una impossibile sfida agli schemi inglobanti e devitalizzanti del potere, pur assistenziale che sia. Papa Montini si inginocchiò di fronte ai brigatisti per chiedere pietà, papa Bergoglio si inginocchia di fronte al Crocifisso per chiedere pietà di una Chiesa così attendista, ripiegata su se stessa e incapace di incarnare la sfida all’emergenza.

C’è poco da fare, il rischio di una disgregazione sociale post coronavirus lo vedo molto alto. Non saremo più gli stessi, così si dice giustamente. Ma come saremo? Ci rialzeremo in piedi pur con le ossa rotte o rimarremo a terra sani, ma soli e disperati. E chi avrà la capacità di rialzarci? Un commissario unico alla ricostruzione senza anacronistici piani Marshall, senza un De Gasperi a ritessere i rapporti con l’Europa, senza un Palmiro Togliatti a rappresentare i senza lavoro ed i senza diritti, senza un Giorgio La Pira ad interpretare il ruolo di sindaco d’Italia e di ricercatore disperato di pace internazionale? Per oggi le farneticazioni possono terminare qui. Qualcuno penserà che l’isolamento mi stia facendo impazzire: meglio impazzire subito e da solo che collettivamente a babbo morto.