Leader carismatico cercasi

Un tempo, quando, durante una discussione che stava prendendo una brutta piega, si voleva cambiare discorso, le persone, affette da schifoso maschilismo, lanciavano l’idea di mettersi a parlare di donne (in che senso lo lascio immaginare). Oggi, affetto da penoso politicismo, provo timidamente a parlare di politica, per due intuibili motivi: per staccare un attimo dalla ossessiva cappa virale che ci opprime e perché la politica non è evasione, ma attenzione a tutto e tutti.

Intenzioni di voto: si accorciano le distanze fra il Partito democratico e la Lega. Secondo l’ultimo sondaggio di Ixè per il programma Cartabianca su Rai Tre, il partito di Nicola Zingaretti è in rimonta, distanziato di soli 4 punti e mezzo da quello di Matteo Salvini. Rispetto alla precedente fotografia, la Lega risulta infatti in calo al 27%, mentre il Pd guadagna mezzo punto e sale al 22,4%. In discesa anche il M5S, al 15,6%. Fratelli d’Italia rimane stabile al 13,4%, Forza Italia in calo al 6,1% così come Italia Viva di Matteo Renzi al 2,6%.

Quanto al grado di fiducia degli italiani nei leader, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte resta saldamente in testa e cresce di due punti rispetto al precedente sondaggio (42%), seguito dalla leader di Fdi Giorgia Meloni che sale al 34%, Salvini stabile al 31%, Zingaretti recupera un punto e sale al 29%. Luigi Di Maio è fermo al 22%. Renzi guadagna un punto e si attesta al 13%, così come Berlusconi che dal 18 arriva al 19%.

Piccoli spostamenti, talora quasi impercettibili, che meritano tuttavia un seppur timido commento. Si va verso un bipolarismo? A destra sembra proprio di sì: Lega, FdI e Forza Italia arrivano al 46,5% e non è poco; a sinistra il discorso è molto più problematico, ma volendo semplificare, includendo il pur riottoso M5S e l’indisponente Renzi, si arriva ad un 48% e non è poco. La partita quindi sembra aperta, nonostante le sbruffonate salviniane e le smanie meloniane. Penso sia sovrastimato il 15/16% dei pentastellati, anche se ultimamente si fanno notare per una certa qual ragionevolezza di governo che fa a pugni con la sguaiatezza di piazza.

Molto più strampalato è il discorso dei cosiddetti leader e il sondaggio assume la natura di un gioco di società (forse sarebbe meglio chiedere addirittura agli intervistati chi vorrebbero buttare giù dalla fatidica torre). I leader non ci sono e, se ci sono, non li vedo. Con tutti i suoi imperdonabili difetti, Berlusconi era un leader. Salvini e Meloni, come leader mi fanno scappare da ridere (o da piangere). Il Pd, dopo la breve e strana parentesi renziana, è alla ricerca di un personaggio di riferimento che sappia rimotivare e rimodulare la sinistra italiana. Pur con tutto il rispetto non ritengo Nicola Zingaretti all’altezza di un tale compito. Sul M5S il discorso è di livello assai più elementare: sono alla ricerca di loro stessi, dopo essersi rapidamente smarriti. Renzi, se mai aveva qualche residua chance leaderistica, se la è sbrigativamente e scriteriatamente giocata con la sciagurata mossa scissionista.

In questo vuoto pneumatico di personaggi in quota, Giuseppe Conte finisce col giganteggiare e la gente lo ha capito. Tuttavia, se gli togliamo la testata d’angolo di Mattarella, la volubile stima conquistata nei rapporti internazionali, la considerazione goduta negli ambienti dalla gerarchia cattolica, resta poco: Conte non brilla di luce propria, anche se faranno molta fatica a toglierlo di mezzo e mi riferisco sia agli avversari che agli alleati. I leader non si inventano, non si improvvisano, li dovrebbero forgiare la storia e la cultura. I due leader degli ultimi decenni, Berlusconi e Prodi, sono stati seppure in diverso modo, improvvisati. Berlusconi sta facendo una bruttissima fine al di là dei suoi enormi demeriti. Prodi è stato diabolicamente bruciato sul rogo dell’elezione a presidente della Repubblica: è diventato un pallido notabile. O la politica ritrova una sua dimensione forte o è costretta a vivacchiare senza identità e senza leader. Speriamo bene.