Da coronavirus a cerebrovirus

Si può morire per eccesso di informazione? Paradossale, ma direi proprio di sì. Il nostro sistema sanitario è al collasso, quello informativo è drogato. 24 ore su 24 a parlare di coronavirus, facendo uscire messaggi contrastanti, notizie allarmistiche, incutendo panico, salvo poi lamentarsi perché la gente è presa dal panico. Gli allarmi si susseguono ininterrottamente, lo scopo non è quello di dare consigli utili, ma di vomitare previsioni disastrose e analisi spaventose. Nessuno che dia un segnale di speranza, tutti si rincorrono a chi la spara più grossa e tragica. Una vera e propria istigazione alla paura.

Anche i governanti centrali e periferici potrebbero fare di meglio a livello comunicativo: parlare meno, dire cose essenziali e certe, non lasciare trapelare indiscrezioni, smetterla con i bollettini di guerra, dare consigli utili e soprattutto non dare l’impressione che la sanità non sia più in grado di far fronte nemmeno alle necessità più gravi dei malati. Gli esperti e gli operatori sanitari dovrebbero allontanarsi drasticamente dalle passerelle loro offerte, anche perché spesso non sono in grado di dare certezze e di dubbi non abbiamo decisamente bisogno.

In questi ultimi giorni si parla di due possibili provvedimenti: un black out generalizzato e la nomina di un commissario che prenda in mano le redini della situazione. Non entro nel merito, mi limito a farne una questione di metodo. Ipotizzare un fermo totale della nazione per un certo periodo svaluta automaticamente i provvedimenti adottati finora, lasciando intravedere la loro insufficienza ed inefficacia, instillando il dubbio che la situazione sia ben più grave di quanto si pensi e che si stia brancolando nel buio. Parlare di un commissariamento per affrontare l’emergenza mette in cattiva luce e indebolisce le istituzioni impegnate: se si parla di un’autorità extra vuol dire che quelle intra non sono in grado di affrontare il problema e di governarlo. Mi chiedo se questo sia il modo di collaborare e remare nella stessa direzione…

Si è scatenato un gioco al massacro, che va ben oltre la gravità del virus, aggiungendone un secondo, e da cui usciremo con le ossa stritolate. Il messaggio è quello di stare tappati in casa (e fin qui ci si arriva), di stare incollati al televisore a sorbirsi una gigantesca tortura mediatica (e questo non lo accetto), di essere isolati da tutto e da tutti (e questo è peggio del coronavirus), di misurarsi la febbre in continuazione mandando in tilt i termometri (da persona ansiosa ci sto cascando alla grande), di spaventarsi all’insorgere di qualsiasi disturbo (ipocondria di importazione), di stare male anche se si sta bene (autosuggestione bella e buona).

Dopo di che arrivano i migliori fichi del bigoncio a dirci di non avere paura, di non farci prendere dall’ansia, di non cadere nelle crisi di panico, di stare calmi e ragionare, di pensare ad altro, di cercare di distrarci, di sconfiggere la paura con la fiducia.    Se andiamo avanti di questo passo nelle ventimila e più assunzioni programmate tra medici, infermieri e personale ausiliario, la parte del leone la dovranno fare gli psicologi e financo gli psichiatri. È pur vero che i laureati in psicologia vanno di moda e non trovano lavoro, ma rischiamo di fare il rovescio di quanto faceva durante la seconda guerra mondiale l’occupante tedesco del nostro territorio.  Per tenere occupata la gente e distoglierla dalla resistenza al nazifascismo, facevano lavorare gli uomini “al canäl”, vale a dire nel greto del torrente per fingere opere utili che alla fine venivano regolarmente eliminate con le ruspe. Noi per occupare gli psicologi distruggiamo, a margine del coronavirus, l’equilibrio mentale delle persone per poi affidarle alle loro cure nel post coronavirus, che nel frattempo sarà magari diventato cerebrovirus. E noi rimarremo, se vivi, cerebrolesi.