La tromba italiana e la sordina tedesca

È spiacevole ma doveroso prendere in seria considerazione alcuni fatti che avvengono in Germania. Nella cittadina di Volkmarsen, in Assia, un’auto lanciata a tutta velocità piomba sulla folla in costume accorsa per partecipare al tradizionale corteo carnevalesco del lunedì: vicino ad un supermarket vengono travolte con violenza almeno 30 persone, tra cui molti bambini anche piccoli, non meno di 7 i feriti in condizioni molto gravi. Alla guida del veicolo, un Mercedes Van color argento, un 29enne tedesco – uno di Volkmarsen – apparentemente senza un background da estremista politico: a detta degli inquirenti ha puntato intenzionalmente sul pubblico accorso per assistere alla parata. Molti in costume, con indosso le maschere e truccati. Tanti, tantissimi, i bambini.

La Procura generale di Francoforte – che ha assunto il caso – “non esclude un attentato”, ma non si azzarda ancora di fare ulteriori ipotesi. A neanche una settimana dalla strage di Hanau – dove Tobias Rethjan, un estremista di destra, ha ucciso 9 persone di origine straniera scelte a caso, prima di uccidere la propria madre e infine se stesso – il Land della Germania centrale piomba di nuovo nella paura e nello choc. E per di più per un atto violento che fa tornare alla memoria l’attacco del dicembre 2016 al Breitscheidplatz di Berlino, quando il terrorista Anis Amri fece piombare il suo Tir sulla folla di un mercatino natalizio provocando 12 morti e 56 feriti.

Non è il caso di fare d’ogni episodio criminale un fascio estremistico della destra razzista, ma mi viene spontaneo confrontare la distaccata freddezza con cui la Germania reagisce a questi gravissimi episodi rispetto alla ben più calda e partecipata reazione italiana nei confronti degli episodi razzisti peraltro incruenti, ma comunque disgustosi e inaccettabili. Mi riferisco alle svastiche, alle scritte nazifasciste, agli insulti e alle minacce scarabocchiate su muri, monumenti, lapidi, porte, etc.

La differenza può indubbiamente risalire al carattere diverso della popolazione tedesca e di quella italiana. Gli stupidi e i criminali esistono in entrambi i Paesi, ma è diverso l’effetto provocato. Non vorrei che il tutto fosse dovuto, non tanto ad una certa qual tolleranza germanica verso i rigurgiti nazifascisti (se fosse così, sarebbe di una gravità inaudita), ma al vezzo d’oltralpe di coprire d’un velo pietoso le malefatte nazionali con il malcelato intento di lavare i panni sporchi in casa propria.

Quando scoppiò la prima devastante tangentopoli italiana negli anni novanta del secolo scorso, un caro amico, buon conoscitore della Germania per avervi lavorato a livello manageriale, mi disse come a suo giudizio la corruzione fosse assai presente anche in quel Paese, con la sola differenza che in un caso si va a gara per tenere riservate e ovattate le notizie, nell’altro, il nostro, si scatena la corsa a buttare tutto in pasto alla pubblica opinione. Non vorrei stesse succedendo qualcosa di analogo anche in materia di coronavirus: sono diversi non tanto i protocolli comportamentali dei pubblici poteri, ma le caratteristiche etiche nella mentalità della gente.

Rischio di ripetermi, ma in Italia, come diceva Vittorio Zucconi, il grande giornalista prestato per qualche tempo alla politica, si vogliono i servizi segreti pubblici. Siamo cioè il Paese del paradosso, del tutto sbattuto sulla pubblica piazza e “ci divertiamo” ad affrontare i problemi in questa chiave. All’estero la pubblica opinione accetta e forse desidera essere alleggerita da certe sgradevoli responsabilità comuni. Per quanto mi riguarda preferisco di gran lunga il clima italiano col rischio di cadere in una sorta di caccia alle streghe piuttosto di correre il rischio di non vedere le streghe dove esistono e operano clamorosamente.

Il presidente della Repubblica Sandro Pertini aveva mille ragioni quando sosteneva che il popolo italiano non è primo, ma nemmeno secondo a nessuno. Noi invece tendiamo ad autoscreditarci irrimediabilmente. Tanti anni fa ebbi modo di pranzare occasionalmente ed in gruppo assieme a Piero Bassetti, autorevole personaggio pubblico di provenienza lombarda, ma di livello nazionale ed internazionale: sosteneva di aver girato mezzo mondo e di aver concluso obiettivamente come il Paese dove si vive meglio fosse l’Italia.  Forse è opportuno che ce ne ricordiamo, non per imbrodarci nelle autolodi, ma per osservare meglio il mondo che ci circonda.