Sempre in trincea e mai all’attacco

Come ho più volte detto e scritto, la storica sera, in cui papa Francesco, appena eletto, si presentò, con atteggiamenti e simbologie rivoluzionari, sulla balconata di S. Pietro, ero davanti al video in compagnia di mia sorella Lucia. Eravamo entrambi convinti che fosse successo qualcosa di grande per la Chiesa cattolica. Quella volta lo Spirito Santo era arrivato in tempo. Io trattenevo con difficoltà le lacrime per l’emozione, Lucia era entusiasticamente propensa a cogliere finalmente il “nuovo” che si profilava. Erano gli ultimi mesi di vita di Lucia, che però trovavano esistenziale e incoraggiante riscontro, al livello più alto, di un cristianesimo vissuto sempre con l’ansia della novità che squarcia il dogmatismo, della scelta a favore dei poveri, del rispetto della laicità della politica, del protagonismo femminile.

A ormai sette anni da quella storica sera si può tentare arditamente di trarre un bilancio? No, perché la Chiesa non è una società commerciale e soprattutto perché non è possibile “vedere di nascosto l’effetto che fa” un magistero papale.

Faccio altri ragionamenti partendo dall’esempio della tanto giustamente discussa enciclica di Paolo VI, la Humanae vitae. Il documento ribadisce la connessione inscindibile tra il significato unitivo e quello procreativo dell’atto coniugale; dichiara anche l’illiceità di alcuni metodi per la regolazione della natalità (aborto, sterilizzazione, contraccezione) e approva quelli basati sul riconoscimento della fertilità. Ebbene leggendola mi sono trovato a respingere sarcasticamente le pedanti conclusioni sulla contraccezione, che riducono il Padre Eterno a spirituale ginecologo.

Lo scopo concreto della contraccezione consiste nell’evitare fecondazioni indesiderate. Perché mai ciò è lecito se si usano metodiche naturali, mentre diventa illecito se si usano mezzi tecnici o farmacologici. Non sono mai riuscito a capirlo. Si vuole fare un passo avanti, si vuole togliere il Padre Eterno da questo imbarazzante criterio calendarizzato?  O consideriamo la fecondità un obiettivo complessivo della vita di coppia o altrimenti ci continuiamo a disperde nel solito e ridicolo labirinto precettale per cui, se mi astengo dall’atto sessuale in certi giorni, tutto va bene, se invece in quei giorni non mi astengo ma corro diversamente ai ripari, tutto male. Ma fatemi il piacere… Pensiamo davvero che Dio sia così meschino da trattarci in questo modo. Nello stesso tempo devo ammettere che l’enciclica canta un vero e proprio sublime inno all’amore coniugale: cosa meravigliosa per poi rovinare tutto nei meandri di una precettistica da “beghe di frati”.

Gesù nella sua didattica amava andare dal particolare al generale adottando il metodo induttivo o induzione, un procedimento che cerca di stabilire una legge universale partendo da singoli casi particolari. La dottrina cattolica invece tende a seguire il metodo deduttivo o deduzione, vale a dire il procedimento che fa derivare una certa conclusione da premesse più generiche, dentro cui quella conclusione dovrebbe essere implicita. Se io parto dalla generica premessa che il matrimonio è indissolubile arrivo a dedurre che il divorzio non è mai ammissibile. Se invece parto dall’amore in crisi di certe unioni coniugali posso arrivare a ben altre conclusioni. E via discorrendo.

Era molto attesa l’esortazione apostolica papale a conclusione del sinodo sull’Amazzonia per i potenziali riflessi su due argomenti molto sentiti: il celibato sacerdotale e il sacerdozio femminile. Purtroppo papa Francesco continua ad adottare il metodo deduttivo, cioè continua a partire da una premessa di carattere dottrinale per arrivare a conclusioni deludenti. L’impegno dei laici e delle donne nella loro partecipazione alla vita della Chiesa: giustissimo! Ma la riforma del celibato sacerdotale e l’apertura del sacerdozio alle donne non sarebbero strumenti atti a favorire al massimo livello tale partecipazione? No, ne riparleremo un’altra volta. Purtroppo, dopo sette anni, su certe questioni siamo ancora al palo. Francesco non ha il coraggio di uscire dall’imbuto in cui lo continuano a spingere e/o in cui si è ficcato. L’emozione e la commozione di sette anni or sono tendono a scemare, lasciando il posto a una pur benevola analisi critica. Non sarebbe la prima volta nella storia che un’autorità religiosa o civile parte in quarta e poi rallenta, si ferma o addirittura fa marcia indietro.

Mi rendo conto si essere spietato, ma temo possa essere sprecata un’occasione irripetibile di riforma ecclesiale. L’età di papa Francesco avanza inesorabilmente, ho l’impressione che la sua salute vacilli, subisce condizionamenti e ostacoli sempre maggiori, il suo carisma rischia di appannarsi. È vero che la vita della Chiesa non dipende dalla mentalità del papa, dei vescovi e dei sacerdoti, ma dalla grazia che deriva dai sacramenti. Come noto don Lorenzo Milani diceva in modo quasi spregiudicato in riferimento ai suoi difficilissimi rapporti con la Chiesa: «E’ la croce che porto per godere dei sacramenti. Non mi ribellerò mai alla Chiesa perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati, e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa». Sono d’accordo.

Il cardinal Martini sosteneva: «La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio». E allora perché dei sacramenti e della fede dobbiamo essere costretti a fare una trincea difensiva e non un fronte di combattimento?