Parole di odio, sassi di fascismo

Davanti alle normali emergenze ne spunta continuamente una anormale. Può essere assurdo parlare di normalità e di anormalità con riferimento alle emergenze, vale a dire a fenomeni che portano in sé il dato della straordinarietà. La differenza sta nell’atteggiamento che la persona e la comunità tengono di fronte ad esse. È normale essere preoccupati ed allarmati di fronte al coronavirus dilagante, è anormale scaricare questa naturale paura sui cinesi, arrivando a discriminarli per il solo fatto di essere cinesi e quindi portatori del virus a prescindere. Dalla paura si passa all’odio transitando attraverso il museo degli orrori del passato senza fare nemmeno una piega, ripetendo gli errori del passato senza alcuna riflessione critica. Sta prendendo piede la convinzione che i problemi si possano risolvere isolandone i portatori, ghettizzandoli o respingendoli, operando sbrigative colpevolizzazioni, riducendo il problema della sicurezza a mero esorcismo nei confronti dei soggetti diversi da noi, affrontando i rapporti sociali con rancore verso intere categorie di persone.

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha lanciato un messaggio rassicurante e antirazzista, diretto soprattutto alla comunità cinese, recandosi a sorpresa in una scuola elementare dove è molto alta la presenza di bambini stranieri. La scuola si chiama “Daniele Manin”, nel quartiere Esquilino, istituto che si contraddistingue per la sua multiculturalità, con una presenza tra il 40 e il 50 per cento di alunni di nazionalità non italiana anche se nati in Italia. Un gesto distensivo e simbolico da parte del capo dello Stato nei confronti della comunità cinese residente da anni in Italia, colpita dalle ricadute della vicenda del coronavirus.

“Sono piuttosto preoccupata dai gesti di odio, poiché indicano un’emergenza e un fallimento”. Luciana Lamorgese esordisce così nell’intervista rilasciata a la Repubblica, nel corso della quale ha parlato della problematica relativa all’intolleranza: “Un’emergenza culturale e civile che mette in discussione le ragioni stesse del nostro stare insieme”. Il ministro dell’Interno ha elencato diversi casi recenti, dalla scritta nazista di Mondovì alla violenza verbale nei confronti di Liliana Segre, per esprimere la propria indignazione: “Dimostrano che è stato superato l’argine e dimostrano, peraltro, il definitivo divorzio tra significante e significato nell’uso delle parole. Nell’odio in cui siamo immersi c’è spesso assenza totale di pensiero. Assoluta ignoranza della storia. Io a questo fallimento non voglio rassegnarmi e penso non sia giusto rassegnarsi”.

Gesti e parole sacrosanti che dovrebbero scuoterci dall’indifferenza, dal torpore, dall’egoismo, dalla cattiveria con cui partecipiamo alle vicende della nostra comunità civile. Attenzione perché la storia insegna come tutti i peggiori regimi abbiano attinto a piene mani in questi irrazionali sentimenti, provocandoli, alimentandoli e strumentalizzandoli. Forse stiamo scivolando verso nuove forme di nazifascismo senza accorgercene più di tanto. Fermiamoci in tempo e riflettiamo seriamente.

Non mi sento di fare rientrare questa emergenza dell’odio in una sorta di naturale patologia psico-sociale dovuta alle obiettive difficoltà che la gente incontra. Tanto meno in una goliardica rincorsa a rivalutare i miti di un passato da capire e rifiutare in blocco. Ancor meno in una triste realtà con cui fare i conti e da governare al meglio o al peggio, come qualcuno si illudeva e si illude di fare con la mafia. Sì, l’odio sociale come un vizio mafioso da metabolizzare. Tutte queste colpevoli sottovalutazioni sono ben sintetizzate in una infelice battuta contenuta in un tweet di Ignazio La Russa, vice-presidente del Senato, esponente di Fratelli d’Italia, il quale poi lo ha rimosso dando la colpa a un suo collaboratore: “Non stringete la mano a nessuno, il contagio è letale. Usate il saluto romano, antivirus e antimicrobi”.

Ci sono due modi di porsi di fronte alla sub-cultura fascista. Quello di scherzarci sopra a babbo morto con una nostalgica e pericolosissima ironia nel moderno bar dei social network, così ben impersonificato da certi politici, in vena di rimpianti o, ancor peggio, in vena di ballare coi fantasmi del passato. Quello raccontatomi da mio padre: ai tempi del fascismo imperante, un popolano era solito entrare nelle osterie ed urlare una propaganda contro corrente del tipo: “E’ morto il fascismo! La morte del Duce! Basta con le balle!”: un semplice uomo del popolo, con un coraggio da leone, che conosceva e usava molto bene l’arte della polemica e della satira.