Zigzagando intorno a Sanremo

Qual è il modo giusto per contestare l’andazzo culturale della nostra società? Contrapporsi, estraniarsi, confrontarsi? Sono portato, prima ancora per carattere che per convinzione, ad isolarmi di fronte a certe derive, considerandole inarrestabili e inarginabili e quindi aristocraticamente ignorabili.

Mia sorella criticava aspramente questo mio atteggiamento dall’alto della sua opzione per il dialogo e la partecipazione a tutti i costi. A me l’opposizione ante litteram è costata spesso isolamento, a lei la battaglia è costata spesso disillusione e scoraggiamento.

Una breve premessa per arrivare al nocciolo della banale questione: rifiutare il festival di Sanremo rischiando di buttare via molta acqua sporca assieme a un bambino (Roberto Benigni)? Non me la sono sentita di contaminarmi con l’acqua sporca per estrarre il bambino, ho preferito rinunciare a tutto. Mi sono poi auto-punito rifiutandomi di leggiucchiare a destra e manca il resoconto dell’intervento di Benigni: un’altra volta impara a non mescolare il sacro col profano…

Ho preferito dedicarmi ad una edizione televisiva di Rigoletto, peraltro piuttosto scialba da tutti i punti di vista, che non mi ha dato alcuna emozione. Una persona molta anziana, che data l’età non poteva più assistere alle opere liriche rappresentate in teatro, si accontentava del resoconto degli amici appassionati, a cui rivolgeva una simpatica domanda per capire l’esito della recita: “Ani fat gnir i zgrizór?”. Anche mio padre aveva questo approccio all’opera: esigeva e si entusiasmava per la frase incisiva, per l’interpretazione trascinante, per gli interpreti che lasciano un segno forte nel personaggio più che nel ruolo.

Restando sui gusti e gli atteggiamenti paterni, devo aggiungere che non lesinava attenzione critica a tutti gli eventi, compreso il festival di Sanremo, in tempi in cui i protagonisti della kermesse erano le canzoni e i cantanti e non i conduttori e le starlette di turno. Aveva un concetto molto popolare della “canzone” leggera, forse perché la contrapponeva fin troppo alla “romanza” impegnativa. Giudicava con un criterio esageratamente tutto suo: l’indomani la donna di casa, mentre faceva le pulizie, avrebbe potuto canticchiare il motivo della canzone. Questo per lui era il termometro del successo! Così come scavava l’opera lirica alla ricerca del significato profondo e delle sensazioni forti, si accontentava della canzone nella sua consumistica portata culturale.

Ricordo una serata di Canzonissima. Mina doveva cantare la famosa canzone napoletana “Munasterio ‘e Santa Chiara”. Per una improvvisa indisposizione fu sostituita nientepopodimeno che dal tenore Franco Corelli, il quale ne diede una versione drammaticissima, come nel suo ineguagliabile stile di canto. Mio padre, che giustamente aveva un debole per Corelli, era commosso e andava ripetendo: “Al säva, al säva!”, riferendosi all’interpretazione originale e suggestiva del tenore. Ho riascoltato recentemente questa stupenda canzone, proprio tratta dalla serata di Canzonissima a cui partecipò stranamente Franco Corelli, piantando, come era solito fare, uno storico chiodo. Papà, come sempre, aveva ragione.

Sono partito da Sanremo e sono arrivato a Franco Corelli. Peccato per Roberto Benigni. Sono sicuro che se ne farà una ragione, mentre io resto col mio solito snobistico dubbio: respingere o accettare le provocazioni, chiudermi a riccio sulle indiscutibili certezze o aprirmi alle discutibili esperienze?

Il mio carissimo e indimenticabile amico Gian Piero Rubiconi, uomo di cultura a tutto tondo, collezionava dischi non per una malcelata bulimia filologica, ma per la sete inestinguibile di ascoltare, di raffrontare, di approfondire, di commuoversi. L’enorme patrimonio di incisioni e registrazioni dal vivo non lo teneva per sé, ma amava comunicarlo, metterlo a disposizione di tutti, soprattutto dei suoi giovani amici appassionati. I suoi “colleghi” collezionisti lo rimproveravano di essere troppo generoso e di non difendere a dovere il proprio patrimonio discografico, ma soprattutto quello delle preziose ed appetibili registrazioni “pirata”. Qualcuno minacciava di non fare più con lui scambi di materiale, dal momento che tale materiale veniva poi troppo divulgato. Una volta si sfogò e mi disse: «Capirai… se mi metto a fare il custode impenetrabile di nastri su cui sono incisi autentici pezzi di cultura. Se me li chiedono, glieli do volentieri: li ascoltano, discutono, si divertono. La cultura è scambio, esige di essere fatta circolare, non è strettamente riservata ad alcuno…». Da una parte aveva un alto e professionale concetto di arte, di cultura, quasi al limite dell’aristocratico, dall’altra prediligeva il senso popolare della cultura stessa, ne perseguiva la diffusione, amava divulgarla. Sane ed apparenti contraddizioni. Della serie tutto può essere cultura, anche una ricetta di un piatto gastronomico. Non ricordo però se nel suo cesto culturale avesse qualche spazio anche il festival di Sanremo…