Le convergenze parallele tra pregi e difetti

Ho ascoltato parecchi commenti all’esito elettorale emiliano-romagnolo. Alla fine mi sono presuntuosamente rifugiato nelle mie riflessioni, andando a rispolverare quanto scritto l’08 novembre dello scorso anno, quando si profilava una prova assai difficile e problematica per la sinistra. Ho deciso allora, più per onestà intellettuale che per narcisistica rivisitazione culturale, di mettere a confronto le “paure” di allora (in carattere corsivo) con i “sollievi” di oggi (in carattere normale). Ne uscirà un pistolotto più lungo del solito, ma spero di qualche interesse.

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Da funzionario, professionalmente e motivatamente impegnato nel movimento cooperativo di ispirazione cristiana, avevo l’opportunità di partecipare a convegni nazionali in cui erano presenti dirigenti cooperativi provenienti da tutte le regioni italiane. Gli emiliani, a livello espositivo e propositivo, facevano la parte del leone e talora finivano con l’infastidire i colleghi del resto d’Italia: sembrava che volessero fare i primi della classe, mentre in realtà non li volevano fare, ma li erano veramente ed erano disposti a comunicare le loro esperienze. L’Emilia-Romagna è una regione all’avanguardia non soltanto nel settore cooperativo, ma in quasi tutti i settori, in essa trovano una buona combinazione i rapporti tra un pubblico forse troppo invadente ed un privato forse troppo strutturato. Ne è uscita una situazione nel tempo sempre più lussuosamente burocratizzata e imbalsamata. Il punto di forza sta paradossalmente diventando un punto di debolezza facilmente aggredibile da chi predica liberalizzazione spinta al limite dell’anarchia.

L’aggressione si è verificata, ma ha ottenuto fortunatamente l’effetto contrario: parlare continuamente di corda in casa dell’impiccato ha infastidito l’impiccato che si è addirittura liberato dall’autocondanna e ha reagito riconquistando libertà di giudizio e di voto. Quando fu eletto segretario della DC Benigno Zaccagnini, il mio direttore editoriale di allora titolò così il suo pezzo: “Il male c’è, ma Benigno…”. Gli emiliani oggi hanno pensato: “Il male c’è, ma ce ne sono dei peggiori…”.

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Il partito democratico sta affilando le sue armi. Innanzitutto conta sull’effetto-Bonaccini, il quale dice della sua amministrazione: «In 5 anni abbiamo fatto tanto, siamo la Regione prima per crescita e la disoccupazione è scesa sotto il 5 per cento». In secondo luogo può contare sull’appoggio di una lista civica, che coinvolge 200 sindaci, alcuni dei quali di centro-destra. Poi Bonaccini avrebbe il sostegno di Confindustria e della Fiom. Inoltre avrebbe la spinta proveniente da importanti personaggi: Romano Prodi, Pierluigi Bersani, Vasco Errani, Virginio Merola. Infine la sinistra farà appello al “sentimento”, punterà sul richiamo della foresta, trasformerà l’Emilia-Romagna in una sorta di Diga, di baluardo contro l’avanzata di Salvini. Romano Prodi confida: «Il centro-sinistra ha amministrato bene e questo in tempi ordinari di solito basta. In tempi ordinari». Mi permetto di buttare una secchiata di acqua gelida sulle speranze e sugli entusiasmi della sinistra. Come ho scritto all’inizio i buoni risultati amministrativi non bastano a chiosare l’analisi socio-economica regionale: c’è quell’immagine burocratica, proveniente soprattutto dal lontano partito comunista, che rischia di rovinare la piazza. “I daviz jen cme j’insònni”, siamo d’accordo, ma l’impressione sulla società emiliana rigidamente politicizzata e bloccata è assai viva e, peraltro, non è nemmeno del tutto destituita di fondamento.

L’effetto Bonaccini ha funzionato, la lista civica pure, la Diga ha tenuto alla grande, il richiamo alla foresta della storia è tornato di moda. Ci voleva Salvini per stuzzicare l’orgoglio emiliano, che sembrava sepolto nel mare dello scetticismo, della sterile e generica protesta e dell’astensionismo.

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Il consenso a livello verticistico di sindaci, esponenti sindacali, personaggi politici non importa più di tanto: la gente non ascolta nessuno, ragiona con la propria testa e fin qui non ci sarebbe niente di male, anzi. Purtroppo però è influenzata e fuorviata dalle paure e dalle illusioni scientificamente propalate da una destra vuota e rissosa, ma efficace nella raccolta del consenso.

La gente si è data una mossa, è scesa in piazza, convocata dalle Sardine e stuzzicata da un bagno popolare come ai vecchi tempi, ha accantonato le paure ed ha rispolverato le speranze. Grazie, cari amici delle Sardine! Bene, caro Bonaccini che hai avuto l’umiltà di ricominciare dal basso.

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I sentimenti non tengono più. Personalmente non voterei a destra nemmeno se la sinistra candidasse un redivivo Adolph Hitler. Ma il sottoscritto non fa testo e i richiami alla storia ed alla tradizione influiscono pochissimo su un elettorato confuso e stralunato. Anche l’appello alla diga antifascista potrebbe rivelarsi un boomerang. E allora? Non voglio certamente fare l’uccello del malaugurio, ma la vedo molto dura per la sinistra emiliana. Personalmente scaricherei dalle elezioni regionali un po’ di significato politico nazionale. Poi punterei sulla qualità delle candidature, quella a governatore, ma anche quelle a consigliere ed assessore regionale. Non userei toni aggressivi e presuntuosi: il consenso si conquista con la pazienza delle idee e l’evidenza della realtà.  E poi farei anche un po’ di sana autocritica nel senso di aprire la politica alla gente e non solo alle forze, alle istituzioni e alle strutture intermedie.

I sentimenti hanno ripreso a funzionare. I consigli che mi ero permesso di dare sono stati sostanzialmente raccolti. Le urne, fortunatamente, hanno cantato “Bella ciao” e, una mattina, ci siamo svegliati e, anziché l’invasor, abbiamo trovato i partigiani che ci hanno portato via. Adesso possiamo migliorare la nostra democrazia e costruire anche qualcosa di nuovo e di bello. Buon lavoro!