L’alfa e l’omega del M5S

A Federico Pizzarotti, sindaco di Parma da quasi otto anni, non basta essere stato lo storico, anche se casuale, iniziatore dell’epoca istituzionale grillina (primo sindaco a cinque stelle nella storia italiana, seppure ben presto sospeso dal Movimento), ora si candida a fare il profeta di sventura del suo ex movimento, prevedendone la fine politica: da una parte in conseguenza delle Sardine, che gli stanno togliendo la terra sotto i piedi, riscaldando il cuore e la mente ad una fascia di opinione pubblica di sinistra demotivata; dall’altra ad opera della Lega di Salvini, assai più credibile e spregiudicata, che gli sta rubando i voti a destra; dall’altra ancora per effetto dell’esito elettorale emiliano-romagnolo, che ridurrà irrimediabilmente ai minimi termini questo strano (non) partito.

Pizzarotti profetizza insomma che il 2020 sarà l’anno della fine del M5S. Forse sotto sotto sta anche gufando comportandosi da “spretato”, ma penso non abbia tutti i torti. Lui sta raccogliendo i rinnovati fasti parmensi di capitale della cultura, mentre i suoi ex colleghi di movimento stanno raccattando i cocci e sono allo sbando a tutti gli effetti. Sembra addirittura che la leadership dimaiana abbia i giorni contati, come sostiene Ilario Lombardo su La Stampa.

Ventisette mesi è durato il regno di Di Maio alla guida del M5S. Mesi in cui c’è stato un grande successo, alle elezioni nazionali del marzo 2018, e poi solo sconfitte. E ancora: i gruppi che lo contestano, i parlamentari che scappano, i ministri che chiedono l’adesione all’area riformista, Beppe Grillo, con il quale la comunicazione si sarebbe interrotta, che ormai parla con il sindaco Beppe Sala e sogna una nuova casa a sinistra, Giuseppe Conte che vuole guidarla.

Bisogna andare adagio a dare per persa la creatura grillina, tuttavia sembra effettivamente assai vicina al capolinea: il problema semmai sarebbe chi se ne spartirà le spoglie. Per resistere ad un ribaltone come quello combinato dai pentastellati, passati in un baleno dall’alleanza contrattualistica con la Lega al confuso accordo col Partito democratico, occorrerebbe la diabolica abilità di un Andreotti più che la spettegolante arroganza di un Di Maio. I pentastellati appaiono come pecore sperse senza pastore. Credo sempre più che, per fondare un movimento politico, inserirlo nell’agone elettorale e piazzarlo a livello istituzionale, non basti la verve grillina, ma occorra una cultura, una storia, una ideologia, un radicamento sociale, un minimo di classe dirigente. Non serve sparare contro la politica per poi andare a sbatterci contro. In questo non ha tutti i torti Vittorio Sgarbi, quando mette “sgarbatamente” in guardia le Sardine dal loro ripiegamento sul mero “antisalvinismo globale”.

Luigi Di Maio sembrerebbe orientato a fare un passo di lato, a tirarsi fuori dalla mischia per aspettare i cadaveri dei suoi colleghi e poi ritornare con una squadra nuova di zecca. Per fare simili operazioni occorrono personaggi politici di grande livello e non traghettini qualsiasi in vena di fare i Cincinnato per burla. C’era da aspettarselo: non si può andare al governo di un Paese completamente sprovvisti di preparazione, esperienza e intelligenza, sulla base e sull’onda di una generica cavalcata protestataria.

Peraltro clamoroso appare l’errore tattico di isolarsi nella battaglia elettorale emiliana, con il rischio di creare problemi a Stefano Bonaccini e quindi magari di causare indirettamente una crisi nel partito democratico, che potrebbe portare alle elezioni anticipate da cui i pentastellati uscirebbero probabilmente distrutti, e di non recuperare verginità ma accumulare ulteriore inaffidabilità.

Se Federico Pizzarotti ha il dente avvelenato, che lo porta a togliersi qualche sassolino dalle scarpe, io, da semplice cittadino, vedo con preoccupazione aumentare lo spazio politico del disorientamento popolare, che, alcuni anni or sono, fu bene o male incanalato dal grillismo ed ora è sempre più in balia delle onde salviniane. Non so cosa riusciranno a recuperare culturalmente le Sardine: qualcosa di interessante stanno dicendo e facendo. Tuttavia non mi illudo e non mi sento di affermare “morto un movimento, se ne fa un altro”, perché alla fine rischia di morire la democrazia.