La seria agorà pensionistica

È difficile parlare di pensioni da pensionati. Prima di tutto perché si sperimenta che la pensione non è l’agognato paese di Bengodi a cui si aspira durante la vita lavorativa. Tutto si limita alla possibilità di coltivare quegli interessi forti che abbiamo potuto solo assaporare per mancanza di tempo: ognuno se li deve cercare e guai se non riesce a trovarli.

In secondo luogo perché ci si sente, e in un certo senso si è, privilegiati per aver conquistato un diritto, che, per questioni di tempo e di leggi in continua evoluzione, molti non hanno ancora raggiunto e addirittura non sanno se e quando riusciranno a raggiungere.

In terzo luogo perché vivere, seppur seriamente e con impegno, la fase pensionistica della propria vita è comunque un freno ad analizzare fiduciosamente e concretamente il futuro: nasce una sorta di spirito di insana ed egoistica rassegnazione, che ci distoglie dallo sguardo complessivo sulla società nel suo divenire.

Certo sarebbe meglio parlare di lavoro e della costruzione di nuovi posti di lavoro, invece siamo portati a discutere partendo dalla fine e non dall’inizio. Anche i sindacati sono condizionati dai molti pensionati loro associati e quindi sono portati a privilegiare gli interessi dei pensionati e dei pensionandi a discapito, in un certo senso, di quanti stanno faticosamente cercando di entrare nel mondo del lavoro. Tuttavia il problema è grande e su di esso si gioca la stabilità finanziaria dello Stato, la prospettiva di vita dei cittadini, la serenità del presente e del futuro.

Da una parte c’è l’allungamento della vita media delle persone che costringe a rivedere i conti di un impianto scricchiolante, dall’altra parte c’è il sacrosanto diritto di avere la certezza di uno sbocco dignitoso alla fine del proprio impegno lavorativo, dall’altra parte ancora c’è la necessità di raggiungere una certa equità tra i diversi trattamenti pensionistici a livello categoriale e generazionale. Si tratta di una partita fondamentale per il cosiddetto stato sociale, che dovrebbe accompagnare il cittadino nelle diverse fasi e nelle diverse problematiche della sua esistenza.

In Francia su questo tema, forse anche in modo strumentale e pretestuoso, sta succedendo il finimondo di proteste in piazza, inquinate dal ricorso alla violenza: per ora i manifestanti sembra che abbiano ottenuto il risultato di una pausa governativa di riflessione in ordine alla riforma del regime pensionistico con i relativi sacrifici legati soprattutto all’innalzamento dell’età pensionistica. In Italia il tema, da un decennio a questa parte, è diventato terreno di scontro politico fra un obbligato rigorismo finanziario e la oltranzistica, populistica ed illusionistica difesa dei diritti a prescindere dalla loro compatibilità economica. Dal responsabile, rispettabile e non esaustivo pianto di Elsa Fornero alla sbruffonata continua di Matteo Salvini. Facile promettere a tutti pensioni migliori o comunque il mantenimento di quelle in essere, molto più difficile trovare la quadratura del cerchio nei conti dell’Inps.

Rimanere fra color che son sospesi è però il peggio che possa succedere. Si faccia una riforma seria, che metta in priorità gli interessi dei giovani e di quanti svolgono lavori cosiddetti usuranti, che trovi un giusto equilibrio tale da  garantire a tutti un minimo di sussistenza dignitosa, che abbia il coraggio di chiedere qualche sacrificio a chi lo può e lo deve fare a vantaggio di chi sta molto peggio e di chi non vede un futuro, che inserisca dei meccanismi automatici di regolazione per adeguare il sistema alle aspettative di vita ed al costo della vita.

Se la sinistra vuole recuperare credibilità, superando fattivamente il tormentone del suo distacco dai problemi della gente, penso sia questo il terreno scomodo, ma giusto e doveroso, per impegnarsi. Non per difendere tutti e nessuno, ma per ragionare di diritti e del loro mantenimento nel tempo. Se il sindacato vuole uscire dal corporativismo e dal rivendicazionismo sterili, si faccia carico di elaborare proposte serie e complessive. Lasciamo da parte la propaganda spicciola e parliamo di problemi reali e di soluzioni stabili. Forse la gente capirà, sottolineo forse.