In punta di scarpette

Il sant’Ilario 2020 passerà alla storia come la festa patronale della capitale della cultura. Ebbene, con tutto il rispetto e l’attenzione per la cultura passata, presente e futura di Parma e proprio per privilegiare la sofferta sostanza oltre la compiaciuta forma,  ho preferito tornare indietro per andare a rivedere cosa ho scritto in passato e ho trovato un pezzo risalente al 2010, che ripropongo di seguito, intitolato “Il mio sant’Ilario, vuoto di cerimonie e pieno di commozione”.

Cara Fathia,

ti scrivo nel giorno di Sant’Ilario, patrono della mia città, Parma, piuttosto vicina e, per certi versi, simile a quella dove vivevi tu, Mantova (per la verità Acquanegra in provincia di Mantova, ma cambia poco).

Oggi, come mio solito, non ho partecipato alle celebrazioni previste per questa ricorrenza perché ad esse sono quasi allergico, anche a quelle religiose, non mi interessano i premi e i loro destinatari, so già, più o meno, quanto diranno le autorità, sindaco in testa, vomitandoci addosso i loro vuoti programmi. Ti confesso di essere sempre meno attratto dalla politica nei suoi assurdi riti e nelle sue parodistiche liturgie e sempre più attento alle vicende delle persone, le donne in particolare.

Tu non lo sai Fathia, io sono uno scrittore, da strapazzo, ma i sentimenti e le emozioni mi riempiono la vita fino a rischiare di farmi soccombere. Ho vissuto questa giornata festiva pensando insistentemente a te al punto da decidermi a scriverti queste poche righe. La tua morte non mi ha solo colpito, mi ha sconvolto: ho evidenziato la notizia, ho ritagliato il foglio di giornale in cui compariva con l’intento di conservarlo. Non riesco a rimuovere questa vicenda dal mio animo ed allora mi sono seduto vicino a te ed ho cominciato questa breve lettera.

Avevi, anzi hai, 43 anni: sei una donna marocchina con una figlia di 5 anni, abiti assieme a questa bimba in una palazzina comunale e lavori facendo pulizie alle dipendenze di una cooperativa. Non stai bene, ma non puoi permetterti il lusso di curarti perché temi di perdere il posto di lavoro.

Pensa Fathia: nel nostro paese c’è l’idea che gli immigrati siano degli scansafatiche, carne usa e getta, dei soggetti violenti e stupratori, delle bestie da soma adatte ad essere sfruttate ben bene sul lavoro e poi macellate oppure rinchiuse in un serraglio oppure rimandate nei loro paesi d’origine. La tua salute è precaria al punto da essere colta da malore e crollare ai piedi del letto. Della tua morte se ne accorgeranno dopo alcune ore.

Pensa Fathia: definiamo le nostre città luoghi dove si vive bene, dove il benessere raggiunge alti livelli. Nel tuo condominio non si sono nemmeno accorti che stavi male e che sei morta, in silenzio, senza disturbare.

Pensa Fathia: ci riempiamo la bocca di stato sociale ed assistenziale e nessuno si era fatto carico di darti una mano, dal momento che vivevi separata dal tuo uomo, magari qualcuno pensava tu fossi una donna “poco seria”: che schifo di società, ipocritamente borghese, vomitevolmente moralista, profondamente razzista, sostanzialmente ingiusta. Tua figlia ti ha vegliato per diverse ore, forse non eri morta sul colpo ma nessuno ti ha soccorso, solo la tua piccola creatura ha avuto il coraggio e la discrezione di starti vicina. Ai tardivi e penosi soccorritori questa bimbetta ha sussurrato: «Dorme…». Ti confesso che leggendo questo particolare sono scoppiato a piangere.

Pensa Fathia: il nostro Ministro della Pubblica Istruzione, una giovane donna, vuole porre un limite all’inserimento a scuola, assieme agli altri, dei bambini extracomunitari, roba da farmi vergognare davanti a te ed a tua figlia, roba da…, mi fermo perché direbbero che istigo alla violenza. L’articolo di giornale cui faccio riferimento si concludeva con queste parole: “Il paese intanto si è mobilitato per sostenere la bambina, con doni, dolci e carezze, in modo che si senta meno sola”.

Pensa Fathia come siamo buoni con i bambini soli, come ti vogliamo bene, quale cuore grande abbiamo… Non proseguo perché della mia ironia non saprai che fartene. Ti voglio dire solo due cose. Innanzitutto sono sicuro che il Padre Eterno, il tuo Dio, non mi interessa di quale religione tu fossi, sarà sceso dal trono, ti sarà venuto incontro con le lacrime agli occhi, ti avrà abbracciato ed accarezzato a non finire. Tu però gli avrai chiesto: «E la mia bambina?» E Dio ti avrà risposto: «Stai tranquilla ci penso io!». In effetti solo di Lui ti puoi fidare. La scena me l’ha raccontata Sant’Ilario, giustamente più attento ai tuoi drammi che ai nostri “bagordi”, e gli credo perché era un uomo di chiesa molto serio. Ed infine permettimi di confessarti con un po’ di imbarazzo e con le lacrime agli occhi: «Mi sto innamorando di te. Hai 43 anni, io ne ho 60, c’è una certa differenza, ma… Sì, perché sei molto bella, sei veramente meravigliosa!»