La storia fatta coi “se”

Nel bel programma di Rai storia “Passato e Presente”, per gentile concessione del conduttore Paolo Mieli, ci si può esercitare facendo la storia coi “se”. Divagazione pericolosa, ma invitante e interessante. Vista la inguardabile e sconfortante attualità, ho provato, nel mio piccolo, ad applicare questo spericolato criterio a due storie politiche: una riguardante la mia città, una relativa all’Italia e all’Europa.

Nel 1998 la sinistra dimostrava di avere il fiato corto nell’amministrazione comunale di Parma: la città era piuttosto imbalsamata e burocratizzata, si respirava la voglia di novità. Il grande Mario Tommasini capì l’umore dei parmigiani e cercò di interpretarlo candidandosi a sindaco col suo impareggiabile stile provocatorio ma propositivo, ponendosi al di fuori degli schemi e tentando un’operazione di forte rinnovamento. La sinistra non lo accolse, lo snobbò e preferì rimanere presuntuosamente ancorata al suo andazzo. La scelta costrinse Tommasini a rompere la sinistra ed a spianare involontariamente e indirettamente la strada alla candidatura di Elvio Ubaldi e alla cocente sconfitta della sinistra intestarditasi sulla riconferma del sindaco uscente Stefano Lavagetto.  Da allora a Parma per la sinistra non c’è più stato verso di risorgere a vita nuova anche perché le ragioni profonde della sconfitta non furono capite e metabolizzate e furono inanellati errori strategici e tattici, che hanno trasformato l’amministrazione comunale della nostra città in un perpetuo banco di prova del nuovismo a tutti i costi.  Se Mario Tommasini fosse stato unitariamente candidato dalla sinistra avrebbe stravinto e per Parma sarebbe cominciata una nuova storia.

Nel novembre 2014, col governo Renzi in auge, all’Italia spettava in sede europea di esprimere l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri, una sorta di ministro degli esteri dell’UE. Il premier italiano Matteo Renzi era alle prese con i conflitti interni al partito democratico e tra gli oppositori più scapitanti al nuovo corso renziano vi era Massimo D’Alema, che tuttavia non nascondeva il suo interesse per il suddetto incarico, per il quale oltre tutto sarebbe stato molto adatto per preparazione, esperienza, personalità e capacità. Renzi aveva la possibilità di prendere due piccioni con una fava: portare un uomo di peso all’interno delle istituzioni europee dando un respiro notevole alla politica estera della UE e togliendo la comunità europea da un improprio ruolo comprimario sullo scenario internazionale; superare brillantemente la conflittualità interna, togliendo all’opposizione nel suo partito il protagonista principale. Preferì una dignitosa quanto insipida opzione: inviò in Europa Federica Mogherini, già ministro degli Esteri italiano, più o meno riconducibile a quel famigerato “giglio magico”, che ha segnato la storia renziana condizionandone il respiro strategico. Se Massimo D’Alema avesse ricoperto l’incarico di commissario europeo alla politica estera, avrebbe sicuramente svolto degnamente e da protagonista il suo compito per il bene di tutti e avrebbe tolto il disturbo a livello di partito democratico, rasserenando il clima di contrapposizione che si è rivelato sempre più deleterio nel tempo fino ad arrivare ad assurde e perdenti scissioni.

Nel 2018, all’indomani delle elezioni politiche, se M5S e PD avessero trovato un accordo simile a quello raggiunto nell’agosto/settembre 2019 forse ci saremmo risparmiati un anno e mezzo di malgoverno, uno scivolamento verso la destra estrema, i continui e inconcludenti litigi, una esasperazione del problema immigrazione, un tira e molla paralizzante, una deriva euroscettica, etc. etc. È pur vero che del senno di poi son piene le fosse, ma a volte può servire anche il senno di poi per recuperare un po’ di umiltà e di buon senso. Mi sono fatto questi strani ragionamenti in concomitanza con la vita piuttosto stentata del governo giallo-rosso: forse non ci saremmo arrivati senza la debacle pentaleghista e non è detto nemmeno che l’approdo sia quello giusto. Magari fra un po’ di tempo ci chiederemo: e se il governo tra M5S e PD non fosse nato e si fosse andati alle elezioni anticipate? La storia ha una sua concatenazione di avvenimenti, ma rileggerla con un po’ di assurde ipotesi a ritroso può anche servire. Aspetto con una certa ansia il risultato delle ormai imminenti elezioni regionali in Emilia-Romagna e so già come sarà il quesito per continuare il giochino: “se” non fosse mai nato il governo giallo-rosso, il partito democratico, Stefano Bonaccini e la sinistra nel suo complesso avrebbero incassato un giudizio elettorale diverso?