Da grillini a pierini

Quando una persona è irrequieta e non riesce a stare ferma, la si dipinge con una colorita e triviale espressione: “non sa dove tenere il culo”.

Il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, secondo quanto confermano fonti di Palazzo Chigi, ha consegnato la lettera di dimissioni al premier Giuseppe Conte. Il ministro nelle ultime settimane ha più volte lamentato nella manovra economica la mancanza di fondi per la scuola e l’università. Secondo quanto riferiscono diverse fonti di maggioranza, Fioramonti potrebbe lasciare il M5S per fondare un gruppo parlamentare autonomo, ma “filogovernativo”, come embrione di un nuovo soggetto. Già nei mesi scorsi Fioramonti aveva più volte dichiarato che, se non fosse rimasto soddisfatto, avrebbe lasciato il suo ruolo dopo l’approvazione della legge di bilancio.

Non ho gli elementi per entrare nel merito delle motivazioni della rinuncia del ministro anche se posso immaginare la sua frustrazione di fronte alla solita incoerenza politica nel trascurare il settore dell’istruzione dopo averne dichiarato la priorità ad ogni piè sospinto. Ci sono illustri precedenti di ministri che hanno abbandonato per protesta il loro scranno. La rinuncia ottiene l’effetto immediato di mettere il dito nella piaga, dopo di che la piaga rimane se non tende addirittura a diventare “puzzolente”.

Tutti i governi della Repubblica avevano ed hanno, nei loro programmi, l’obiettivo della riforma burocratica, con appositi ministri variamente denominati ed incaricati al riguardo. Ricordo cosa successe al professor Massimo Severo Giannini: dopo qualche mese di incarico ministeriale in tal senso, gettò la spugna e confessò di volersi trasferire negli USA, ricevendo i giusti ma ininfluenti rimbrotti dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini. La burocrazia si perpetua nel tempo, ha sette vite come i gatti, condiziona la politica, svuota o svacca le leggi.

Dietro le dimissioni di Lorenzo Fioramonti si cela però anche una sorta di smarrimento e di disorientamento nelle file pentastellate: nemmeno Beppe Grillo riesce a tenere a freno questo crescente malessere, che provoca continui sbandamenti. Non si può effettivamente passare incolumi da un’alleanza al suo esatto contrario senza subirne i contraccolpi. Prima il contratto di governo con la Lega, poi l’accordo con il Pd, prima l’alleanza con Salvini poi la guerra contro Salvini, prima il Pd era considerato il nemico principale poi è diventato l’interlocutore obbligato e via di questo passo. Il tutto camuffato sotto l’effetto continuo di battaglie programmatiche nominali, che lasciano il tempo che trovano (reddito di cittadinanza, no Tav, revoca della concessione autostradale, etc.).

Alcuni parlamentari pentastellati hanno già abbandonato il gruppo, altri ci stanno pensando. Di Maio ha perso il controllo della situazione anche se ostenta sicurezza. Mi sembra che il M5S sia vicino ad implodere, anche perché la sua piazza è ormai schiacciata e soffocata da quella leghista e da quella “sardinista”. Per i grillini non c’è più neanche il dilemma del partito di lotta e di governo: la lotta e le masse si stanno affievolendo, il governo ha tali e tanti problemi da far tremare le vene ai polsi pentastellati. I grillini stanno diventando sempre più cavalieri con tante macchie e con tante paure. Ecco che ritorna l’iniziale immagine del “non sanno dove tenere il culo”. Non lo dico con maliziosa soddisfazione, ma con realistico disappunto.

Il rapporto fra Giuseppe Conte e il M5S diventa sempre più problematico, così come quello col partito democratico: le pazienze degli interlocutori avranno un limite e forse anche quella del presidente della Repubblica non potrà essere infinita. Per quanto terranno gli obiettivi tattici alla base del governo Conte II? Il sollievo provocato dalla costituzione dell’attuale governo sta cedendo il passo allo stress dell’incertezza: ogni giorno una nuova grana, non tanto e non solo di carattere programmatico, ma di coesistenza fra alleati. Ci mancava solo il ministro Fioramonti…