Lo sbriciolamento ambientale

Straripamenti di torrenti e fiumi, frane, mareggiate, allagamenti: purtroppo non fanno più notizia, tanto si susseguono in continuazione e tanto vengono mediaticamente annunciati e commentati. Non torno sul rapporto fra ecologia e media, improntato alla mera enfasi per catturare audience, ma voglio riflettere sulla sostanza del problema.

I casi sono tre. La morfologia del territorio italiano, così pittorescamente vocato alla valorizzazione del turismo, è tale da esporlo in modo drammatico alle intemperie: si ha la sensazione del vero e proprio sbriciolamento sotto i colpi impietosi dei fenomeni climatici. La già problematica natura del territorio è stata massacrata nel tempo dall’abusivismo, dallo sfruttamento irrazionale, dall’incuria e dall’inerzia. A tutto ciò bisogna aggiungere un’evoluzione climatica, che espone la montagna al rischio smottamenti e frane, la pianura all’incubo delle alluvioni, le coste all’impeto dei mari. Risultato finale: un senso diffuso e tragico di precarietà territoriale.

Sull’andamento climatico influisce una serie di fattori, che esorbita dalle possibilità di intervento di un singolo paese: non si può scaricare le responsabilità nascondendosi dietro la comoda espressione “piove, governo ladro”. Quanto meno occorrerebbe allargare il discorso: piove, governi ladri! Problema enorme, di portata universale, di impatto sconvolgente. Ognuno dovrebbe fare la sua parte. La sensibilità, anche grazie alla circolazione delle idee, sta aumentando, ma il pericolo è di pensare a chiudere le porte della stalla quando i buoi non sono solo scappati, ma non esistono più.

Cosa è nelle possibilità dei governanti italiani ai vari livelli? Lavorare ad un piano di messa in sicurezza, di manutenzione straordinaria, di ristrutturazione territoriale, investendo enormi risorse, che, peraltro, dovrebbero costituire un benefico volano a livello economico-sociale. Se ben impiegati sarebbero i soldi meglio spesi: per evitare danni futuri, per offrire occasioni di lavoro, per valorizzare il patrimonio naturale, per sviluppare il turismo, per puntare ad un ambiente difendibile. Non ho la più pallida idea di quante risorse e di quanto tempo possano occorrere. Di una cosa sono certo, non si tratterebbe di risorse e di tempo sprecati.

Quando si parla di tagliare i fondi alla sanità, non si pensa che queste scelte suicide finiscono col creare buchi ancora più grossi sul piano sociale (malattie, emarginazioni, dipendenze, etc.) e sul piano economico, perché occorrerà in qualche modo far fronte alle conseguenti emergenze. Lo stesso discorso vale per il territorio: non investire oggi significa lasciare crescere il dissesto idro-geologico per far fronte domani e dopodomani a situazioni di emergenza continua. Non sentiamo forse le regioni chiedere la dichiarazione di stato di emergenza? Sarà un ritornello che servirà a poco, se non a scaricare responsabilità in un vergognoso gioco al massacro.

Se riuscissimo ad elaborare e presentare un serie piano di interventi all’Unione europea, sarebbe la più efficace e corretta verifica della disponibilità comunitaria a privilegiare lo sviluppo rispetto al rigore. Certo non dovrà trattarsi di “un piano all’italiana”, come abbiamo purtroppo fatto in passato soprattutto in materia di investimenti nel meridione. Quando vedo passare sul video le inquietanti immagini dei disastri ambientali, mi rendo conto di vivere in un Paese stupendo, ma che assomiglia sempre più ad un castello di carte: basta una folata di vento per buttare tutto all’aria. Immaginiamoci se le folate viaggiano ad una velocità impressionante e sono accompagnate da autentici diluvi (quasi) universali.