Dimmi con chi vai e ti dirò i porti da chiudere

Non ricordo con precisione e non credo siano molto rilevanti le differenze tra il caso “Diciotti” e il caso “Gregoretti”, le due navi bloccate dall’allora ministro degli Interni Matteo Salvini, e qualora esistessero tali differenze penso non siano comunque tali da giustificare un cambio di atteggiamento del M5S nel suo capo Luigi Di Maio. Volenti o nolenti i pentastellati, con fatica e dopo una delle solite pantomimiche consultazioni sulla piattaforma Rousseau, in Parlamento avevano salvato Salvini dall’incriminazione sul caso Diciotti, nascondendosi dietro il dito di una decisione politica che non poteva essere censurata sul piano giudiziario. Oggi sembra che le cose vadano diversamente per il blocco della Gregoretti. Perché?

Quello della Diciotti fu il primo di una serie di casi simili fra i quali appunto quello della Gregoretti: il governo italiano (Il Conte I) ha sostenuto a suo tempo di aver “chiuso i porti” alle navi che trasportavano in Italia i migranti soccorsi in mare, per ragioni politiche e di sicurezza. Salvini rivendicava e rivendica tuttora  di aver preso queste decisioni nell’interesse del paese, e la presunta “linea dura” nei confronti dell’immigrazione irregolare era diventata un tema centrale nella comunicazione del governo giallo-verde.

Ad aprire il procedimento sulla Diciotti è stata la procura di Agrigento, mentre sul caso Gregoretti ad intervenire è stata la procura di Siracusa. L’altro elemento in comune, riguarda la decisione del tribunale dei ministri. Per il primo caso, il competente tribunale dei ministri di Palermo ha chiesto l’autorizzazione a procedere al parlamento contro Salvini. Quello di Catania ha adesso emanato la stessa richiesta sul secondo caso. Gli esiti questa volta potrebbero essere diversi: l’allora maggioranza giallo-verde ha supportato Salvini in sede di riunione della giunta per le immunità, grazie al sostegno del Movimento Cinque Stelle. Adesso invece i grillini, che non sono più alleati della Lega, sarebbero propensi a prendere un’altra strada, accordando il no all’immunità per il segretario del carroccio. Sinceramente non capisco cosa ci sia di tanto diverso nel comportamento ministeriale salviniano da giustificare un simile cambio di direzione.

A sorprendere  è stata la retromarcia targata Luigi Di Maio, il quale ha annunciato che il Movimento 5 Stelle voterà a favore del processo per quanto riguarda la vicenda Gregoretti. Dice infatti Salvini: “È una cosa surreale. Per un certo verso, anche se gli avvocati mi suggeriscono il contrario, sarei curioso di finire in Aula. Di Maio ha cambiato idea sui miei processi come l’ha cambiata su tante altre cose“. Il 20 gennaio si voterà infatti l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti. Palazzo Chigi ha fatto sapere che il caso non sarebbe stato mai discusso in Consiglio dei ministri. Salvini ribatte: “A me dispiace quando ci sono persone che perdono l’onore. È chiaro che per non litigare con il Pd loro si rimangiano tutto quello che avevano detto e fatto“. Se sul piano procedurale può avere una certa importanza che il governo non abbia formalmente deliberato sul sostegno alla posizione del ministro, dal punto di vista sostanziale il governo sapeva benissimo come si stava muovendo politicamente Salvini e, se non lo ha apertamente appoggiato, quanto meno lo ha lasciato fare per tutto il disgraziato periodo di vita della compagine pentaleghista.

Devo quindi obtorto collo dare ragione al leader leghista quando stigmatizza il cambiamento di opinione pentastellata nella politica sull’accoglienza dei migranti. D’altra parte questo ondivago atteggiamento era addirittura precedente alla formazione del governo giallo-verde a cui è succeduto quello giallo-rosso: si tratta di opportunismo bello e buono, di ottenere o perlomeno non perdere il consenso dell’elettorato anti-immigrati andando comunque dietro l’aria che tira politicamente parlando.  È perfettamente inutile che Luigi Di Maio faccia i salti mortali per giustificare il cambio di linea e mantenere quindi un minimo presupposto di convivenza col Pd, senza avere il coraggio di ammettere gli errori commessi e segnare una chiara discontinuità programmatica fra i due governi in cui i grillini hanno una parte certamente non secondaria. È pretestuoso continuare a navigare nel mare tempestoso dei decreti sicurezza, dando un colpo al cerchio ed uno alla botte, cambiando qualcosina ma non troppo, come quella ragazzina incinta appena un pochettino.

La difficile gestione dell’immigrazione è uno dei punti politici più delicati, vuoi perché manca una vera e propria visione complessiva e coraggiosa di questo fenomeno, vuoi perché si vuole essere aperturisti ma senza scontentare troppo i settari, vuoi perché ci si vuole distinguere dalla follia salviniana ma senza regalare alla Lega un cavallo di battaglia molto importante. Il M5S è l’incarnazione di questi equivoci a cui non è peraltro estraneo nemmeno il partito democratico.

Il Conte II è un governo di scopo (fermare la valanga leghista, stare dignitosamente in Europa, arrivare alla scadenza quirinalizia con questo parlamento, tentare la strada della ragionevolezza), che nasce tuttavia, per i tempi affrettati con cui è stato varato e per il basso profilo dei partner, con un notevole fardello di equivoci programmatici che effettivamente e continuamente vengono a galla.