Parchè il banchi, ät capì…

Torno con la mente a Roma, all’EUR, ai lavori di un lontano congresso della Democrazia Cristiana a cui ho assistito come semplice ma interessatissimo invitato. Durante l’intervento dell’allora ministro del Tesoro, Emilio Colombo, si alzò un isolato, ma forte e netto, attacco verbale all’azzimato esponente democristiano ed al suo pistolotto lungo e tecnicamente pesante: «Te lo ha scritto Carli?», gli chiesero provocatoriamente. Guido Carli era all’epoca il potente governatore della Banca d’Italia. Scaramucce, che segnavano la vivacità ma anche la profondità del dibattito. Allora come ora ci si chiedeva se l’economia dovesse essere indirizzata dal potere delle banche centrali o dalla politica governativa.

Anche oggi il tema è attualissimo ed è oggetto di vivaci discussioni a livello governativo nel momento in cui si è deciso di intervenire con soldi pubblici per salvare la Banca Popolare di Bari da un devastante fallimento. Quali e quante sono le responsabilità di Bankitalia in queste aggrovigliate vicende finanziarie: la banca centrale controlla effettivamente gli istituti di credito o dà loro una mano ad andare nel fosso?

Il compito di controllare la vita finanziaria di un ente è molto difficile ed è al limite dell’impossibile. Ciò non toglie che qualcosa di meglio si potrebbe fare. Poi viene la discussione sul salvataggio: è giusto ed opportuno intervenire con fondi pubblici a tutela dei risparmiatori? Se fossi un risparmiatore in odore di fregatura, non esiterei a rispondere con un convinto “sì”. Da semplice cittadino mi permetto di nutrire qualche dubbio: o si riesce ad intervenire nelle regole con cui funziona il sistema bancario, in poche parole, o si interviene a monte, oppure arginare a valle i torrenti in piena è impresa ardua e quasi impossibile. Si riesce tutt’al più a chiudere qualche falla in rassegnata attesa della prossima ondata di piena.

Parecchio tempo fa mi raccontavano di un incontro informale tra amministratori pubblici della provincia di Parma: un pianto cinese sulle difficoltà finanziarie dei comuni e sulle ristrettezze delle loro comunità. Ad un certo punto uno dei partecipanti sbottò e cominciò ad esprimersi in dialetto, adottando uno spontaneo e simpatico intercalare, scaricando colpe a più non posso sul sistema bancario reo di compromettere sul nascere ogni e qualsiasi intento di ripresa: «Parchè il banchi, ät capi…» diceva a raffica e giù accuse agli istituti di credito. Questo per dire che a volte la politica tende a scaricare sue responsabilità su altri soggetti, ma è pur vero che i detentori del potere finanziario tendono a condizionare scorrettamente la politica, magari dopo avere creato disastri (gli esempi sono numerosi a tutti i livelli).

Ogni volta che succede qualche fattaccio bancario spunta l’idea di una commissione d’inchiesta: facciamola una buona volta, senza però farci troppe illusioni. Il giustizialista di turno chiede sacrosante azioni di responsabilità verso gli amministratori più o meno bancarottieri: facciamole, ben sapendo che chiudere la stalla quando i buoi sono scappati serve a poco. Il garantista a tempo pieno ipotizza carenze ed omertà nel sistema partendo dall’alto, dalla stessa Banca d’Italia, che parlerebbe sempre bene e spesso razzolerebbe male: affrontiamo pure anche questo problematico nodo, ben sapendo che non lo si potrà né sciogliere, né tagliare di netto.

L’importante sarebbe non attestarsi sui massimi sistemi o rifugiarsi nella demagogia anti-sistema. Mi accontenterei di capire bene fin dove arriva l’intervento governativo e di monitorarne gli effetti nel tempo. Qui si apre un altro discorso: è ora di ripensare all’intervento pubblico diretto nelle banche, così come nell’economia in generale? Se essere liberisti vuol dire lasciare che il mercato lavori in proprio per poi colmarne le lacune a babbo morto e quasi a fondo perduto, tanto vale essere dirigisti e ipotizzare qualche investimento pubblico diretto ben mirato e ben gestito. Sempre più difficile!!!