Il vuoto delle coscienze

L’anarchico Pinelli precipita da una finestra della questura di Milano: un fatto che continua ad essere inquietante e che simboleggia il mistero che tuttora avvolge la strage di piazza Fontana, avvenuta cinquant’anni fa. Innanzitutto smettiamola una buona volta di chiamare Pinelli come anarchico tout court. Se il sottoscritto fosse chiamato il democristiano di sinistra Mora, pur senza rinnegare niente del mio passato politico, risponderei di considerarmi innanzitutto, laicamente parlando, un cittadino democratico. Pinelli era un cittadino, un lavoratore, impegnato politicamente, un contestatore, una persona che testimoniava la sua contrarietà verso i meccanismi ingiusti e oppressivi del sistema.

Criminalizzare gli anarchici in quanto tali è un crimine perpetrato dagli investigatori nei giorni successivi alla tragica esplosione della bomba alla sede della Banca dell’Agricoltura: si cercò sbrigativamente un colpevole a tutti i costi. Considerando la totale estraneità al fatto di Giuseppe Pinelli, appurata senza alcuna ombra di dubbio, i casi sono due: o Pinelli si buttò dalla finestra vistosi disperatamente vittima innocente e irreversibile di un complotto e fatto oggetto in tal senso di pressioni psicologiche inumane oppure lo buttarono volendo far credere ad un suicidio con tanto di ammissione di colpa. Una ipotesi è zuppa, l’altra è pan bagnato. Alla fatalità non credo: nessuno cade dalle finestre; o si butta giù o glielo buttano.

Qualcuno alla questura di Milano si è reso responsabile di qualcosa che nessuno mai è riuscito a provare, ma che lascia intravedere un omicidio o un’induzione al suicidio per motivi politici. La pista anarchica, che proseguì con l’incarcerazione e l’incriminazione di Pietro Valpreda, pure lui risultato estraneo ai fatti, venne testardamente battuta per gettare la colpa dell’attentato addosso a un non meglio precisato mondo dell’antagonismo di sinistra. Quel mondo che purtroppo, per lo meno in parte, raccolse ideologicamente la provocazione, criminalizzando la polizia e i suoi superiori ed arrivando, forse involontariamente, a creare un clima di odio e di violenza, che ha magari spinto indirettamente i soggetti più fanaticamente labili alla spietata e generica vendetta.

La verità storica, che va oltre quella giudiziaria, è ormai abbastanza chiara: l’attentato fu pensato ed eseguito da uomini della destra eversiva, fu coperto da uomini appartenenti a pezzi deviati delle pubbliche istituzioni, fu ideato allo scopo di creare un clima di confusione e di sbandamento generale, dandone la colpa alla sinistra, su cui basare le premesse per una svolta autoritaria nel Paese. È un rischio che le democrazie corrono soprattutto se non hanno gli anticorpi necessari alla difesa.

Ma voglio tornare per un attimo sulla morte di Giuseppe Pinelli. Chi ha sulla coscienza questo fatto? Se l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, divenuto il capro espiatorio della faziosa, rissosa e pazzesca purga pseudo-rivoluzionaria, ha trovato i colpevoli, a livello di esecuzione, per loro spontanea confessione, la morte di Pinelli resta avvolta nel mistero (?). Sicuramente qualche esecutore avrà vissuto e sarà morto con la coscienza sporca, divorato dai rimorsi, mentre i mandanti della strage e della morte di Pinelli sono, restano e resteranno senza coscienza, senza coscienza democratica, laddove la democrazia è da considerare il contenitore ideale dei migliori valori dell’uomo e del cittadino. Nel vuoto delle coscienze non si riesce ad entrare, non si può nemmeno fare pulizia dove non c’è nulla. La democrazia se si vuole difendere e crescere deve riempire questi vuoti.