I nuovi tabù della nuova (non) sinistra

Ho avuto l’occasione di seguire su TV 2000, l’emittente edita dalla Conferenza episcopale italiana, una breve intervista a Fausto Bertinotti puntata su un giudizio politico dell’attuale sinistra. Ne ho seguito solo uno spezzone, in cui il sindacalista e politico Bertinotti si trasforma in intellettuale e critica pesantemente la politica di sinistra usando tre parametri, tre argomenti ormai desueti nel linguaggio e nell’azione della sinistra.

Chi se la sente di parlare di imposta patrimoniale come strumento di una politica fiscale finalizzata alla ricerca dell’eguaglianza? Chi si permette di mettere in discussione la diminuzione o comunque la revisione dell’orario di lavoro a fronte dei problemi occupazionali conseguenti alla crisi economica e dello sviluppo tecnologico che comprime il fattore lavoro? Chi davanti a pesantissime crisi aziendali e settoriali pensa a ritornare in qualche modo ad ipotizzare il ricorso alla programmazione economica?

Sono indubbiamente delle pertinenti provocazioni, che, se devo dire la verità, mi sono rimaste impresse e mi hanno costretto a riflettere. Credo che il discorso di fondo sia quello dell’accettazione del sistema economico tout court, con la conseguente forte limitazione dell’intervento pubblico diretto o indiretto nell’economia. La sinistra sta accettando supinamente, come variabile indipendente, gli andamenti economici di stampo squisitamente liberista? C’è uno spazio di manovra all’interno di questi meccanismi per una politica di sinistra volta all’equità e all’uguaglianza?

Per un laureato in economia, con tanto di tesi sul “ruolo della grande impresa nell’ambito della programmazione economica”, dovrebbe essere un invito a nozze. Invece mi è andato via l’appetito e la voglia di festeggiare: sono andato un po’ in crisi, lo ammetto. I problemi peraltro tornano sul tavolo dei governi alla faccia del liberismo: pensiamo al salvataggio dell’Ilva che richiede comunque un qualche intervento dello Stato. Pensiamo ai tavoli di crisi aperti a livello ministeriale per verificare come lo Stato possa aiutare le aziende ad uscire dal tunnel per salvaguardare l’occupazione e il patrimonio economico accumulato. Pensiamo alla disoccupazione giovanile per la quale non si può invertire significativamente la tendenza se non con forti investimenti pubblici in certi settori quali la cultura, la difesa ambientale, la valorizzazione artistica, etc. Pensiamo alla lotta all’evasione impossibile se non si adotta una legislazione che riequilibri in qualche modo le ricchezze, che diventano sempre più proprietà di pochissimi contro il progressivo depauperamento di moltissimi.

E allora? Fausto Bertinotti non ha tutti i torti! La sinistra si è rifugiata sul sacrosanto discorso dei diritti civili: in questi giorni il partito democratico ha ripreso il tema dello jus soli per gli immigrati. Mi sta benissimo, ma non basta e non si può partire dal fondo. Occorre il coraggio di ripensare una strategia progressista, senza demagogia, ma anche senza rinunciare a cambiare i meccanismi socio-economici di una società sempre più chiusa, povera e disperata.

Nel lontano 1972 a livello di tesi di laurea scrivevo: “Non è facile riconoscere finalità sociali all’incremento dell’offerta di numerosi beni. Più sigarette favoriscono il cancro. Più alcolici favoriscono la cirrosi. Più automobili provocano più incidenti, più invalidi e più morti; richiedono l’utilizzazione di maggior spazio per autostrade e parcheggi; aggravano l’inquinamento dell’aria e della campagna. Il cosiddetto alto livello di vita consiste, in gran parte, in misure dirette a risparmiare energia muscolare, ad accrescere il piacere dei sensi e a far assimilare calorie oltre ogni necessità di nutrimento. Ciononostante la convinzione che l’incremento della produzione sia un utile fine sociale è pressoché unanime”.

Mi fermo perché è chiarissimo dove voglio arrivare: la comunità deve essere in grado di respingere la pretesa dell’economia di monopolizzare i fini sociali. La politica deve garantire ciò e la sinistra se non ha questo scopo non è più tale. Si sono capovolti i tabù della sinistra: un tempo consistevano nella tentazione di esorcizzare l’economia e l’impresa, oggi consistono nell’esorcizzare la funzione della mano pubblica appiattendola sulla mera presa d’atto dei meccanismi della produzione e del mercato.