La politica tra botteghe e salotti

Durante le animate ed approfondite discussioni con alcuni carissimi amici, uomini di rara coerenza etica e politica, agli inizi degli anni novanta, in clima di pieno crollo delle ideologie, si constatava come alla politica rischiasse di sfuggire l’anima buttando via il bambino delle idee e dei principi assieme all’acqua sporca delle incrostazioni ideologiche , come se ne stessero andando i valori e rischiasse di rimanerci solo la “bottega” ed al cittadino non restasse che scegliere il “negozio” in cui acquistare il prodotto adatto alla propria “pancia”. Fummo, in un certo senso, facili profeti.  È giusto infatti che la politica parta dai problemi e non dalla teorizzazione astratta delle soluzioni sistemiche, ma l’approccio ai problemi può essere di vario tipo.

Si può addirittura far finta che non esistano e che tutto vada bene: in questo è stato maestro Silvio Berlusconi con l’evidenziazione dei ristoranti affollati, delle spiagge stracolme, dei week end praticati da milioni di persone che intasano le autostrade. Da un certo punto di vista non aveva tutti i torti, a volte cado anch’io in questa semplicistica e fuorviante analisi, ma la realtà è molto più complessa e diversificata. Si tratta della politica del facciamo finta che le cose vadano bene, che la disoccupazione sia un problema per i fannulloni, la difesa ambientale sia una mania salottiera dei cretini ecologici, la povertà esista solo nelle encicliche papali e nelle smanie filantropiche delle anime belle, l’immigrazione sia una preoccupazione eccessiva e un fenomeno facilmente arginabile.

All’estremità opposta vi è l’atteggiamento di chi prende atto in modo enfatico, spaventoso e strumentale della realtà problematica, gonfiandone i contorni, alimentando le ansie e le paure, drammatizzando le situazioni, per poi cavalcare il tutto con soluzioni illusorie e populistiche. Si tratta della politica mordi e fuggi, della soluzione consistente nel gettare la palla in tribuna, dei programmi sparati alla viva il parroco, della ormai scientifica e organica raccolta del consenso in base alle balle confezionate dai social. L’attuale destra, italiana e non solo italiana, adotta questi schemi ottenendo, almeno nel breve periodo, un certo successo. Non si tratta più di esorcizzare il comunismo mangia-bambini, di difendere la libertà dall’invadenza della sinistra pigliatutto, si tratta invece di cavalcare l’insicurezza pompata ad arte, la paura dell’immigrato discriminato e criminalizzato, l’angoscia dell’impoverimento fatto risalire all’invadenza fiscale e burocratica dei pubblici poteri. Alla drammatizzazione delle situazioni fa riscontro normalmente la proposta di soluzioni facilone e sbrigative quanto inutili se non dannose, ma prima che la gente se ne accorga passa del tempo e la fola può anche essere riciclata vergognosamente.

Esiste però anche la politica perbenista della ritrosia fatta stile: i problemi vengono schematicamente sottovalutati, il popolo viene lasciato ai populisti, l’immigrazione viene trattata coi guanti bianchi della solidarietà di prima accoglienza e lasciata vivacchiare ai margini della società senza impegno di integrazione, la disoccupazione viene combattuta con i pannicelli caldi senza il coraggio di trovare le risorse (con tagli drastici agli sprechi e con una effettiva lotta all’evasione e con tassazioni di scopo) per effettuare investimenti pubblici (soprattutto nella difesa del territorio, nella salvaguardia ambientale, nella valorizzazione della cultura e del turismo), che invertano la tendenza recessiva dell’economia. È la politica del balbettamento di sinistra, del tira e molla dei progressisti, del parolaio approccio degli sviluppisti.

In mezzo a queste (non) proposte è fatale che possa prendere piede la protesta, la sfiducia, il ripiegamento su chi più grida e si agita, la tentazione al disimpegno, la voglia di mandare tutti al diavolo. Purtroppo anche questo senso di smarrimento viene accolto dalla destra leghista, quella più estrema, che ne riesce a fare tesoro, mentre la protesta sbracata stenta a ritrovare la sponda grillina, che si sta sgretolando a vista d’occhio.

La sinistra fa molta fatica a riappropriarsi delle giuste battaglie ed a coniugarle con la modernità. Da lei il popolo si attende questo, perché in demagogia c’è chi è maestro e quindi ha ben più appeal con i suoi arruffapopolo patentati e imbellettati. Non è mai esistito il destino cinico e baro di saragattiana memoria e quindi bisogna elaborare idee e proposte e raccogliere il consenso con la pazienza dovuta e i tempi necessari: le scorciatoie non servono a niente. Partire dai valori per non fermarsi lì.