Pizzarotti: cause note ed effetto a venire

Nel marzo 2012 Federico Pizzarotti si candida per il Movimento 5 Stelle alla carica di sindaco di Parma per le elezioni amministrative del 6 e 7 maggio 2012, successive alle dimissioni del sindaco di centrodestra Vignali e al commissariamento della città. Al primo turno ottiene il 19,47% e accede al ballottaggio contro il candidato del centrosinistra Vincenzo Bernazzoli, presidente della provincia di Parma, forte del 39,20% dei consensi.

Faccio un fermo immagine. Cosa era successo a Parma? Mentre all’orizzonte si profilava il grillismo, il partito democratico, che aveva la strada spianata dalla disastrosa esperienza del centrodestra camuffato da “civiltà parmigiana”, falliva a porta vuota un rigore, facendolo battere dal candidato totalmente sbagliato, per precedenti e discutibili sue esperienze amministrative, per inadeguatezza politica, per il vezzo insopportabile di lasciare una carica per un’altra più importante, ma soprattutto perché a bordo campo c’era pronto il goleador Giorgio Pagliari, candidato naturale a sindaco, unanimemente considerato come l’uomo ideale, per preparazione, esperienza e coerenza, capace di dare una svolta all’amministrazione comunale parmense. Gli fu inspiegabilmente preferito Bernazzoli.

Ricordo il confronto elettorale in vista del ballottaggio: un esercizio di presunzione post-comunista nei confronti di un neofita della politica. Se al primo turno elettorale mi ero astenuto, al ballottaggio non resistetti alla tentazione di dare una lezione esemplare alla sinistra incapace di leggere la realtà e sempre pronta a sovrapporsi alla realtà. Votai Pizzarotti, che uscì clamorosamente vincitore con il 60,22 dei consensi e si trattò del primo sindaco di un capoluogo di provincia appartenente al Movimento 5 Stelle: non era un’elezione con il riconoscimento politico del candidato e del suo partito, era semplicemente un atto di protesta contro il Pd, impegnato a guardarsi l’ombelico, e contro il forno inceneritore dei rifiuti ormai in fase di avanzata costruzione, avversione cavalcata dai grillini con la promessa  di una impossibile retromarcia .

Ebbi modo di pentirmi amaramente di aver votato Pizzarotti (non certo di non aver votato Bernazzoli), perché ne capii alla svelta i limiti e i difetti. Pizzarotti ha capito, fin troppo bene e da subito, che, come lui stesso afferma, “il Movimento doveva prendere la strada della maturità e diventare un partito serio e di governo, invece ha sbragato con uno al comando e senza che il gruppo crescesse”. Inizia quasi subito a fare il rompiballe fino alla sua fuoriuscita dal movimento, dopo un’assurda parentesi giudiziaria ed una pretestuosa sua sospensione, mai rientrata dopo l’archiviazione delle accuse a suo carico. Questo è il suo merito storico, al di là della sua amministrazione che giudico comunque insufficiente e di basso profilo.

Infatti nel 2017 dovetti astenermi ancora alle elezioni amministrative: il Pd sbagliava per l’ennesima volta il candidato, rincorrendo un fantomatico esponente del civismo alla parmigiana, Pizzarotti si ripresentava con una lista indipendente chiamata “Effetto Parma”, fondata da lui e da un notevole gruppo a lui fedele. Non mi convincevano e restai a casa, pur riconoscendo che, come diceva Montanelli, Pizzarotti non si era arricchito, dimostrandosi un galantuomo, non aveva voluto strafare ed era riuscito a galleggiare sul mare di debiti lasciati in eredità dalle precedenti amministrazioni megalomani e spendaccione. Fu rieletto con il 57,87% dei voti contro il pallido esponente del centrosinistra Paolo Scarpa.

Liberato dalla corsa all’impossibile terzo mandato, Federico Pizzarotti si monta la testa, fondando “Italia in comune”, auto-dichiaratosi il “Partito dei sindaci”, che si presenta con alterne vicende e risultati modesti alle elezioni regionali in Abruzzo, Sardegna e Piemonte. Alle elezioni di maggio per il Parlamento europeo il movimento promosso dagli spretati grillini punta su +Europa e Pizzarotti è candidato nella Circoscrizione Nord Est e si piazza secondo con 22.127 preferenze, ma non viene eletto in quanto la lista non supera la soglia minima di accesso.

Ho fatto una breve cronistoria della vita politica di Pizzarotti. Oggi ce lo troviamo a sostenere convintamente la ricandidatura di Stefano Bonaccini alla guida della regione Emilia-Romagna in vista delle elezioni del prossimo gennaio. Gesto obiettivamente apprezzabile anche se quasi scontato nel bel mezzo di un girovagare fine a se stesso (in nome dell’ambientalismo parmense, vicino a quello dei Verdi tedeschi che puntano su crescita e infrastrutture), espresso senza smania di potere, senza puntare ad una seggiola (anche se è ancora presto per dirlo), senza entrare nel Pd a cui assicura di non mandarle a dire (lo giudica un partito senza programma, fisionomia e identità), esprimendo, con tutta la comprensibile asprezza dell’ex, tutta la sua avversione per l’alleanza nazionale e regionale fra PD e M5S, distribuendo giudizi (positivi su Calenda, negativi su Renzi).

Naturalmente non poteva mancare un libro, “Il meglio deve ancora venire”. In conclusione concordo pienamente col titolo del libro e mi auguro che, per Federico Pizzarotti e quella Parma che lui dal 2012 amministra senza infamia e senza lode, arrivino tempi migliori. In cauda venenum: un tempo un personaggio come Pizzarotti avrebbe sì e no fatto il segretario di sezione di un qualsiasi partito; oggi pontifica politicamente sui massimi sistemi e si pavoneggia sul poco o nulla della sua amministrazione comunale in attesa del bagno culturale rigenerante del 2020. Chi si contenta gode.