Per Venezia: Mose o Mosè

Sono stato solo due volte a Venezia: per vedere un Otello di Verdi al teatro La Fenice in una giornata torrida, nel periodo ante incendio; precedentemente in gita di piacere (?) con il gruppo giovanile parrocchiale che frequentavo. In entrambi i casi andiamo molto indietro nel tempo. La gita però ha tutta una sua drammatica particolarità e attualità, perché capitò proprio nel giorno dell’acqua altissima del 1966: l’alluvione di Venezia del 4 novembre 1966, conosciuta anche come aqua granda o acqua granda, fu un evento meteorologico eccezionale che travolse la città con un’alta marea eccezionale senza precedenti, che raggiunse un’altezza record di 194 cm. Peraltro quello stesso giorno ci fu anche l’alluvione a Firenze (come dice il famoso proverbio, le disgrazie non vengono mai sole e purtroppo, nel caso di Venezia, si sono anche ripetute).

Al mattino non riuscimmo a sbarcare se non a Sant’Elena, il punto più alto e lì ci fermammo alcune ore. Al ritorno  anche a Sant’Elena l’acqua aveva interamente allagato le passarelle e fummo costretti a reimbarcarci sul vaporetto nei modi più strani: chi, come il sottoscritto, si fece letteralmente portare sulla groppa da un disponibile addetto al servizio, naturalmente dietro adeguato e improvvisato compenso;  chi si tolse pantaloni, scarpe e calze e si immerse nell’acqua gelida per poter raggiungere il pontile; ricordo che un amico si rimboccò i pantaloni e poi entrò nell’acqua con scarpe e calze (tanta era la tensione di quei momenti).

Lungo il tragitto col vaporetto fino ad arrivare a piazzale Roma ho visto scene apocalittiche: l’acqua sfondava le vetrine dei negozi e all’interno si notava la distruzione di tutta la merce, gente che alla vista dei propri esercizi commerciali devastati sveniva cadendo in acqua, i vigili del fuoco che accorrevano coi loro mezzi acquatici, ma finivano col fare onde e creare ancora più danno alle cose. Riuscimmo a salire sul pullman ed a tornare a casa: ci fermammo a cena in un ristorante lungo la strada e ci accorgemmo dalla televisione che era successo il finimondo anche a Firenze. Avevamo scelto il peggiore dei periodi per fare una gita a Venezia, ma ci consolammo nella convinzione di aver assistito ad un drammatico evento storico.

L’acqua alta di questi giorni non ha infatti superato il record del 1966. A distanza di oltre cinquant’anni Venezia è ancora esposta agli stessi rischi e pericoli. Non avrei mai più pensato che i fatti del 1966 potessero ripetersi, invece… Del fenomeno dell’acqua alta a Venezia se ne è parlato parecchio. Ci si è accapigliati e divisi sui progetti per contrastare il fenomeno. Mi sembra che tutto sia rimasto come prima e… la città è stata pazzescamente allagata. Ora comincia lo scaricabarile delle responsabilità. Sul Mose, il progetto che prevede le dighe, che dovrebbero alzarsi per difendere la citta di Venezia, è scoppiata la polemica: chi si chiede perché non funzionino ancora; chi dice che non funzioneranno mai; chi ritiene che i commissari, incaricati del funzionamento del progetto, avrebbero dovuto avere il coraggio di alzare le dighe, mentre loro si difendono affermando che non spettava a loro la decisione se alzare o meno il Mose, perché servirebbe al riguardo una cabina di regia istituzionale, ed attestando che nel 2019 erano previsti solo dei test di sollevamento in via di svolgimento e che il ministero delle Infrastrutture era al corrente della situazione. Mancherebbero inoltre anche i presupposti organizzativi per far funzionare il Mose: non ci sarebbero infatti le sufficienti risorse umane, adeguatamente preparate dal punto di vista tecnico.

Limitarsi a far funzionare solo alcune bocche di porto, a detta del Commissario Ossola, non sarebbe servito a nulla o addirittura avrebbe potuto creare maggiori danni alla città. La data di consegna del progetto definitivo funzionante, dopo ulteriori sperimentazioni e collaudi, dovrebbe essere il 31 dicembre 2021. C’è naturalmente chi accusa i responsabili di notevole lentezza nei lavori, chi mette il dito nella piaga dei finanziamenti.  Mi sono limitato a registrare quanto scritto, in modo obiettivo ed articolato da Alberto Zorzi sul Corriere del Veneto.

Aggiungo che personalmente sono tentato di pensare ancor più male e immaginare (?) la solita megastruttura, su cui si scaricano inefficienze, ritardi, rinvii, polemiche: insomma una Cattedrale sull’acqua. Certo, in questi casi vale più che mai quanto sostenne mio padre con una battuta velenosa in occasione di un’alluvione in Italia. Allora c’era da rispondere al solito ritornello dei comunisti trinariciuti, quelli col paraocchi, che recitava più o meno “Cozi dal gènnor in Russia in sucédon miga”.   Mio padre rispose: “Sät parchè? In Russia i gh’àn j èrzon äd cärta suganta”. È indubbiamente una delle più belle battute di mio padre per stile, eloquenza, brillantezza, spontaneità e parmigianità. Non sopportava infatti, sempre e comunque, la faziosità, detestava la mancanza di obiettività e nelle sue frequentazioni terra-terra, nonché nel parlare a livello di base, lanciava questi missili fatti di buon senso più che di analisi politica. Non so cosa direbbe oggi. Sono passati molti anni dalla mia gita a Venezia e dalla battuta sferzante di mio padre. Leggendo ed ascoltando le polemiche scoppiate, da una parte ho fatto silenziosamente la parte del privato e globale accusatore, dall’altra mi sono trattenuto dal buttare la croce addosso a Tizio e Caio ricordando i rinvii paterni al mittente delle accuse faziose, facilone, opportunistiche e distruttive. Non rivedrò certamente un’acqua così alta a Venezia: mi auguro che ciò sia dovuto non solo alla mia ormai tarda età, ma ad un rigurgito di vitalità di tutti coloro che possono intervenire.