Il proficuo accattonaggio salviniano

Quando, nel pieno della scorsa estate, Matteo Salvini ha fatto saltare il banco governativo giallo-verde, gli opinionisti e i commentatori politici si sono esercitati nel dipingere l’impennata del leader leghista come qualcosa di assurdo e intempestivo, una cavolata pazzesca e azzardata, fatta per andare in tutta fretta a raccogliere, con elezioni anticipate, i consensi maturati, prima che marcissero, accreditandosi tutti i meriti (?) governativi e addebitando al M5S i demeriti dell’anno e mezzo di travagliata convivenza governativa.

Sappiamo come è andata provvisoriamente a finire: le elezioni non si sono fatte, Salvini è stato tagliato fuori, l’Europa è tornata a dare le carte, si è prospettata un’alleanza tattica tra Pd e M5S in vista della futura elezione del Capo dello Stato e in vista delle prove elettorali regionali. Questo equilibrio, piuttosto precario per non dire impossibile, sta vivendo giorni sempre più difficili in corrispondenza dell’emersioni dei veri problemi del Paese.

Una manovra economica con l’imperativo di quadrare il cerchio dei conti pubblici, una situazione economica sempre più problematica a livello di rapporti internazionali, crisi aziendali e occupazionali, una esplosione della bomba, peraltro prevedibile, del caso Ilva: tutti i giorni scoppia un problema davanti al quale il governo, quando non di divide, balbetta.

Salvini sta recuperando quei consensi che sembravano averlo abbandonato all’indomani della bufera governativa estiva: sembrava che la gente, almeno in minima parte, avesse capito l’assurdità del capataz leghista. Nemmeno per sogno, Salvini è tornato protagonista nell’immaginario collettivo, gira l’Italia da salvatore della patria, ha sbancato le urne della regione Umbria, si sta impossessando della coalizione di centro-destra, spara contro l’attuale governo come se lui non avesse nemmeno conosciuto i cinquestelle ed arriva con impudenza a concedere comprensione al Pd, chiamato a convivere con un alleato impossibile e quindi riesce a ribaltare sui grillini tutto il male che non gli vien per nuocere.

Non so se lo avesse calcolato, ma senz’altro si era accorto di aver tirato troppo la corda e che questa si stava strappando: forse non aveva altra scelta che rompere, tentando di capitalizzare quel poco che era riuscito a far apparire davanti agli occhi degli italiani e allontanandosi dai problemi che sarebbero ben presto arrivati con la loro evidenza devastante. Dove sarebbe infatti finita la promessa della flag tax? Come se la sarebbe cavata di fronte all’inghippo Ilva? Come avrebbe potuto continuare a sopportare il reddito di cittadinanza e a difendere a spada tratta quota cento. Le ultime due cose citate gliele ha fatte il nuovo governo. Meglio quindi defilarsi nelle piazze, ostentare striscioni nelle aule parlamentari, andare alla conquista dell’Emilia-Romagna etichetta rossa.

Mio zio Mario, che viveva in quel di Genova, raccontava di un accattone, postato in un luogo strategico del centro-città, che rifiutava categoricamente le monete di una certa entità e si accontentava rigorosamente di quelle di più modesto valore. Tutti lo ritenevano un cretino, mentre mio zio lo riteneva un furbo: aveva infatti costruito un suo mercato, perché tutti provavano il suo “assurdo” atteggiamento e finivano, pur scrollando il capo, per fargli l’elemosina. Anche Salvini si sta apparentemente accontentando di stare al di fuori dei giochi, ma in realtà sta giocando alla grande e a tutto campo. Gli autogoal si stanno trasformando in tiri in porta da tutte le posizioni e prima o poi i goal magari arriveranno, anzi stanno già arrivando. A meno che…