Lo storytelling deamicisiano

Parecchi anni or sono, una sera, mentre stavo guardando il telegiornale in compagnia di mia sorella, uscì finalmente la cronaca di un episodio edificante, di cui sinceramente non ricordo nulla, che mi portò ad avvalorare una mia tesi esistenziale minimalista e ad esclamare: «Il Padre Eterno, che ci conosce molto bene, tutto sommato sa che in fondo non siamo cattivi come può sembrare. Se non fosse così, dopo essersi preso la briga di scendere in terra per chiarirci inequivocabilmente cosa non andava e soprattutto dopo aver attirato su di sé e patito tutta la cattiveria possibile, ci avrebbe già distrutto chiudendo una parentesi che invece si ostina a tenere aperta».

Lo storytelling, elemento distintivo della nostra epoca, è l’arte del raccontare storie, impiegata come strategia di comunicazione persuasiva, specialmente in ambito politico, economico ed aziendale. Se guardiamo ai processi politici in atto nella nostra società ci accorgiamo facilmente come sia in atto una scientifica operazione di cattura del consenso pilotata sulle “balle” ben raccontate e ben propinate. Così è per il leghismo salviniano che al riguardo vince di gran lunga sul grillismo dimaiano: trionfa chi riesce ad usare l’anestetico subdolamente più efficace. Quando mi sono sottoposto alla gastroscopia mi hanno applicato una sedazione lieve, che non mi ha tolto la coscienza, ma che alla fine mi ha tolto completamente il ricordo di quanto mi era successo. Il gastroenterologo di fama che mi aveva trattato, mi tranquillizzò dichiarando che tutto rientrava perfettamente nella normalità.

Di fronte ad uno storytelling generalizzato ed avvolgente, che ci cambia continuamente le carte in tavola, usando tutti i mezzi e i congegni possibili, dobbiamo esercitarci a livello personale in questa arte, andando alla ricerca di quegli episodi che possano raccontarci la realtà vera ed aiutarci a vivere nella giusta dimensione. Occorre fare molta attenzione alle piccole cose, ai gesti ed alle azioni apparentemente insignificanti, ma eloquentemente interessanti e rivelatori. Sono stato quasi costretto a farlo guidato da un piccolo episodio capitato alla mia attenzione.

Ero in autobus e qualche metro davanti a me viaggiava una persona affetta da sindrome down, giovane ma difficilmente catalogabile in base all’età. Ad un certo punto ho notato che, come è nello stile di vita di queste meravigliose persone, ha allungato improvvisamente, in segno di spontanea e nuova amicizia, la mano ad una persona che viaggiava in piedi poco distante da lui. Questo gli si è avvicinato e, approfittando della situazione, gli ha chiesto un aiuto in denaro. Anche una signora seduta dietro di me aveva visto e capito la situazione e si stava interrogando: “Gli sta chiedendo dei soldi?”. A quel punto mi sono allarmato ed ero sul punto di intervenire, ma, un po’ per non umiliare e disturbare l’equilibrio psicologico del soggetto down, un po’ per non drammatizzare il rapporto che si stava instaurando tra i due, ho preferito sorvegliare la scena a distanza. La persona portatrice di handicap ha estratto il suo portamonete e, su reiterata ma garbata richiesta, ha fatto con molta discrezione l’offerta (non ne ho potuto vedere l’entità). Poi si è alzato per scendere alla fermata successiva e l’altro assieme a lui. Cominciavo ad essere preoccupato e mi chiedevo: vuoi vedere che ci scappa una mezza “bullata”? Fortunatamente, appena prima di scendere, il normodotato ha dato una leggera pacca sulla spalla all’altro e gli ha sussurrato un inequivocabile e dolce “grazie”. Dopo di che sono scesi ed ognuno è andato per la sua strada, almeno così mi è sembrato di notare. È venuto il mio turno per la discesa dall’autobus e prima di farlo ho detto alla signora che, come me, aveva assistito alla scena con una certa evidente trepidazione: «Oggi quel ragazzo ci ha dato una esemplare lezione…abbiamo assistito ad un episodio che ci deve fare riflettere».

E infatti ho continuato per parecchio tempo a pensare a quei due. Ho riflettuto solitariamente sull’accaduto e, tra i tanti pensieri venutimi alla mente, mi sono detto che finalmente a volte scatta il feeling tra “poveri”: non so chi tra i due fosse più povero, ma si sono dati la mano, si sono aiutati e ringraziati. Lo storytelling deamicisiano, la beatitudine sciorinata in autobus, la politica tornata a respirare coi polmoni e il cuore delle persone, la società modellata a misura di sentimento: a volte basta poco (?) per riprendere a vedere un mondo migliore ed a sperare in una storia diversa.