Patti impossibili, immigrazione lunga

L’accordo in scadenza fra Italia e Libia prevede una stretta cooperazione tra i due paesi in tema di “contrasto all’immigrazione illegale e rafforzamento della sicurezza delle frontiere”. A volerlo nel febbraio del 2017 fu l’allora ministro degli Interni Marco Minniti (governo Gentiloni), che tentò di intraprendere una seria politica di contenimento della pressione migratoria proveniente dalle coste libiche: il governo libico, legittimato dalla comunità internazionale, si impegnava ad arginare i flussi di migranti illegali e affrontare le conseguenze da essi derivanti, mentre l’Italia avrebbe fornito supporto tecnico e  tecnologico  agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina, vale a dire addestramento, mezzi e attrezzature alla Guardia costiera libica.

Il sacrosanto tentativo ha ottenuto risultati apprezzabili a livello quantitativo (calo notevole degli arrivi di migranti), ma ha registrato un fallimento dal punto di vista qualitativo (ripetuta violazione dei diritti umani). Da quanto ho potuto capire, è successo che la Libia si è rivelata un partner obbligato ma totalmente inaffidabile: la sua Guardia costiera viene definita infatti un ambiguo coacervo di milizie dismesse e trafficanti e l’Onu ha sottolineato come i salvataggi operati dai guardacoste di Tripoli (utilizzando motovedette e telefoni satellitari forniti dall’Italia) siano in realtà delle vere e proprie intercettazioni in mare, effettuate con il fine ultimo di porre in schiavitù, torturare e infine rivendere ai trafficanti di uomini i migranti intercettati; i centri di detenzione presenti nel paese africano sono vere e proprie carceri di stato dove i migranti senza documenti vengono sottoposti a reclusione arbitraria e indefinita e ad un trattamento  che l’Alto commissario  delle Nazioni Unite per i diritti Umani ha definito un oltraggio alla coscienza dell’umanità.

La grave accusa che viene fatta a chi ha stipulato e gestito questi patti italo-libici è di avere ignorato inizialmente e di non avere fatto nulla in questi due anni e mezzo per rimuovere le paradossali situazioni esistenti in Libia, che prefiguravano ed evidenziano tuttora un rapporto sostanziale fra lo Stato e la criminalità nella gestione dei migranti.

In effetti quando ci si mette nella logica di collaborare con i Paesi africani (peraltro anche la Turchia non è da meno) si incontra un ostacolo enorme nell’inaffidabilità dei loro governi, che comunque non possono essere bypassati, ma che dovrebbero essere fortemente condizionati nei loro comportamenti a dir poco anti-democratici. Inoltre esistono stridenti contraddizioni nella comunità internazionale, che, dopo aver creato un autentico disastro abbattendo scriteriatamente, con una guerra assurda, il regime libico di Gheddafi e consegnando il Paese in mano alle tribù, da una parte riconosce e legittima il governa libico di Fayez al Serraj e dall’altra ne bolla i comportamenti in aperta violazione dei diritti umani.

Immagino cosa potrà succedere nei mari e nei centri di detenzioni libici: a volte ci penso prima di addormentarmi e confesso di fare fatica a prendere sonno. Quindi viene oltre modo spontaneo scandalizzarsi del potenziale cinismo con cui si sta cercando di gestire il fenomeno migratorio e di conseguenza chiedere di interrompere o rivedere i patti stipulati dall’Italia con la Libia. Ma non basta, perché si esige di fermare l’emorragia nel rigoroso rispetto dei diritti umani: una gara impossibile, si pretende la botte piena e la moglie ubriaca, a meno che non si capovolga il discorso accettando la botte vuota e la moglie piena. Cosa voglio dire? Mettersi nella logica di sopportare enormi sacrifici sul piano economico e sociale, accogliendo e integrando i migranti con criteri razionali ma solidali.

È inutile nascondersi che gli equilibri politici italiani si stanno giocando sulla pelle dei migranti: chi parla male e si erge a loro respingitore ante litteram;  chi  parla bene ma razzola male non avendo il coraggio di varare una politica per l’immigrazione partendo dal presupposto che oltre ad essere una impellenza etica è anche una necessità economico-sociale; chi continua a ripetere lo stonato ritornello dell’assenza europea e degli Stati europei; chi si limita ad una sacrosanta difesa dei diritti umani a livello di salotto etico senza mai scendere nella cucina politica.

Minniti avrà sicuramente commesso degli errori, ha provato, con tutta l’intelligenza che si ritrova (e non è poca), ad affrontare concretamente la situazione e si è indubbiamente sporcato le mani. Mi danno molto fastidio però quanti non fanno un cazzo di niente e si limitano a condannare: sono gli obiettori di comodo. Li ascolto attentamente, li condivido quasi sempre, ma poi…