Le pietre scagliate dai peccatori

Non sono un giurista, ma, pur nella mia conclamata ignoranza, ho l’impressione che con il discorso del conflitto di interessi si stia strumentalmente esagerando. Secondo il Financial Times, Giuseppe Conte fu consulente di un fondo finito nell’inchiesta del Vaticano: il giornale britannico avanza l’ipotesi di un conflitto di interessi del premier legato al finanziere Raffaele Mincione ed al fondo finanziario da lui gestito, che avrebbe ricevuto circa 200 milioni di euro dal Segretario Vaticano per un discusso investimento immobiliare di lusso a Londra.

Mi sforzo di affrontare l’argomento con il massimo rispetto per il giornale che sta sollevando autorevolmente la questione, con il massimo spirito critico nei confronti del Vaticano, che mercanteggia dentro e fuori il Tempio, con il massimo rigore verso la politica che non può permettersi di impegolarsi con la finanza.

Riporto di seguito il fatto come esposto da “Repubblica”. Nel maggio 2018 la società Fiber 4.0, controllata dal fondo di Mincione di cui sopra, ingaggia l’avvocato Giuseppe Conte per un parere legale. Fiber 4.0 stava tentando la scalata alla Retelit, una compagnia italiana di telecomunicazioni, ma era stata battuta da due aziende straniere: un fondo tedesco e una società libica. Conte nel suo parere legale sostenne la necessità di introdurre il principio del golden power, che in questo caso avrebbe permesso al governo di bloccare la cessione delle compagnie strategiche ad azionisti stranieri. Allora Conte era solo candidato premier su segnalazione del M5S per il governo giallo-verde che si stava faticosamente formando. Un mese dopo il governo guidato da Conte emanò un decreto applicando proprio il golden power a Retelit, senza peraltro che il Fondo di Mincione ne ottenesse benefici, perché non arrivò al controllo della compagnia. Il premier spiegò allora di non aver partecipato alla discussione del decreto e di essersi astenuto dal votarlo in consiglio dei ministri.

E il Vaticano? Il quotidiano britannico arriva a sostenere che il Fondo attenzionato fosse sostenuto dal Segretariato Vaticano e che la scalata alla Retelit sia stata lanciata utilizzando il denaro ottenuto dalla Santa Sede e quindi che Conte avrebbe operato anche per fare un favore al Vaticano. Palazzo Chigi ha diffuso una nota al riguardo: “Conte ha reso solo un parere legale e non era a conoscenza e non era tenuto a conoscere il fatto che alcuni investitori facessero riferimento ad un fondo di investimento sostenuto dal Vaticano e oggi al centro di un’indagine”. La presidenza del Consiglio ha ribadito che “per evitare ogni possibile conflitto di interesse, il premier si è astenuto anche formalmente da ogni decisione circa l’esercizio della golden power. In particolare non ha preso parte al Consiglio dei ministri del 7 giugno 2018 (nel corso del quale è stata deliberata la golden power), astenendosi formalmente e sostanzialmente da qualunque valutazione. Si fa presente che in quell’occasione era impegnato in Canada per il G7”.

Faccio un semplice ragionamento di buon senso. Ogni e qualsiasi professionista che venga chiamato a ricoprire cariche pubbliche porta con sé un trascorso di questioni problematiche e quindi un potenziale conflitto di interesse dal momento che la sua azione politica potrebbe influire su tali questioni. E allora per evitare un simile rischio bisognerebbe che chi assume incarichi politici fosse stato un nullafacente. Diversamente l’unica cosa da fare è astenersi da ogni e qualsiasi decisione, direttamente o indirettamente collegabile a precedenti incarichi professionali. Mi sembra né più né meno l’atteggiamento tenuto da Conte. Se ci saranno ulteriori sviluppi con elementi e documenti seri e inconfutabili, staremo a vedere. Al momento non capisco dove stiano e in cosa consistano le basse insinuazioni del Financial Time, prontamente cavalcate dai gufi italiani, Salvini e Meloni, che chiedono chiarimenti di Conte a livello parlamentare, lasciando comunque intendere che se fosse solo parzialmente vero quello che scrive il Financial Time in qualsiasi Paese ci sarebbero le dimissioni tre minuti dopo.

Quanto ai rapporti col Vaticano, chi è senza peccato scagli la prima pietra: da sempre la politica italiana è intessuta di fili collegabili al Vaticano. Forse dispiace che Conte sia appoggiato dalla gerarchia cattolica e si vuole vedere in questa scelta di campo la restituzione di piaceri fatti in passato. Ma fatemi il piacere. De Gasperi andava in chiesa per pregare, Andreotti per trafficare coi preti, in merito a Conte mi sembra presto per dare giudizi o insinuare dubbi, chi vivrà vedrà. Dimenticavo di aggiungere che Salvini brandisce croci e rosari durante i comizi elettorali: non mi vorrà far credere che dipenda da una sua crisi mistica…

C’è soprattutto lo strano modo di intendere la trasparenza politica:  chi, da ministro dell’Interno non si è presentato in Parlamento per chiarire opache vicende nei rapporti con la Russia, chiede che il presidente del Consiglio corra in Parlamento a riferire sui dubbi e le ombre sollevati dal Financial time; poi non ci si accontenta nemmeno di usare due pesi e due misure, ma si lascia subdolamente intendere che i chiarimenti difficilmente potrebbero evitare pronte e spontanee dimissioni dal parte del premier (giustizia politica sommaria); ultima e non ultima considerazione: la questione è di vecchia data, se ne era già parlato e scritto, ma allora Conte era premier di un’altra coalizione e allora evidentemente valeva la presunzione di innocenza, mentre ora per lui, appoggiato da una coalizione nemica, vale la presunzione di colpevolezza.