A colpi di Russiagate

Il caso è chiuso, da questa vicenda ne esco più forte: è questa la convinzione del premier Giuseppe Conte, rimasto in silenzio da settimane e che ha voluto rispondere direttamente del ‘Russiagate’ sia al Copasir e sia ai cronisti, “anche per chiarezza nei confronti dei cittadini”. Proprio per mettere a tacere “le ricostruzioni” che hanno rischiato di gettare “ombre” sull’attività dei nostri Servizi.

La vicenda ruota attorno all’inchiesta condotta negli Stati Uniti dal procuratore Robert Müller e volta a scoprire le collusioni tra lo staff di Donald Trump e la Russia nei tentativi di inquinare la campagna elettorale americana del 2016, screditando la candidata democratica Hillary Clinton e indirizzando il voto a favore dello stesso Trump. Ora il presidente Usa, che nel frattempo rischia la procedura di impeachment per un’altra vicenda – le sue conversazioni con il premier ucraino Zelensky al quale chiedeva di indagare sul figlio di Joe Biden, sfidante democratico nella corsa alla Casa Bianca 2020 – sta cercando di mettere in atto una mossa del cavallo, trasformando il Russiagate in un complotto contro di lui ordito all’epoca da Barack Obama con la complicità di Matteo Renzi, allora premier italiano: in questo scenario si inserisce la visita di Barr, emissario di Trump, in Italia e i suoi irrituali incontri con i servizi segreti tra agosto e settembre.

Durante l’audizione al Copasir il premier secondo quanto si apprende è stato duramente criticato dalla Lega mentre il Movimento 5 stelle ha mantenuto un atteggiamento più’ morbido. Per Conte dunque la vicenda è stata chiarita. Tuttavia chi ci capisce qualcosa è bravo! Non riesco a immaginare un coinvolgimento di Giuseppe Conte, e di Matteo Renzi prima, in questa vicenda che probabilmente rimarrà negli annali delle inestricabili vicende spionistiche. Penso e spero che il premier attuale abbia detto la verità di fronte al Comitato per la sicurezza e davanti ai microfoni (la solita velleitaria e paradossale pretesa italiana di avere i servizi segreti pubblici). Quanto a Renzi mi puzza molto di fantasioso e meramente difensivo il suo coinvolgimento in una manovra concordata con Obama per danneggiare Trump, per il quale la miglior difesa è sempre l’attacco: è invischiato in mille opache vicende e intende trascinare nella bagarre i suoi avversari passati e presenti. Un gioco al massacro bello e buono.

Quello che non mi è piaciuto è il proditorio e disgustoso attacco salviniano, che sa tanto di “prima gallina che canta ha fatto un altro uovo”. Il leader leghista, imitando Trump, vuole sollevare un polverone dietro cui nascondere il suo Russiagate. A differenza di Conte si è sottratto al dovere di fornire spiegazioni sull’altra sua strana vicenda russa, chiarendo di cosa esattamente abbia parlato il suo consulente e collega di partito Savoini nell’incontro a Mosca e se fosse completamente all’oscuro di quella trattativa, condotta da un suo consulente che trattava affari legati al petrolio citando il futuro della Lega.

Infatti è arrivata puntuale la stoccata di Giuseppe Conte, in conferenza stampa dopo l’audizione al Copasir: “Forse Matteo Salvini dovrebbe chiarire che ci faceva il ministro dell’Interno assieme a Gianluca Savoini, con le massime autorità russe e il responsabile dell’intelligence russa. Dovrebbe chiarirlo a noi e agli elettori leghisti. Dovrebbe chiarire se è idoneo o no a governare un Paese”. Non mi è piaciuta neanche la sortita contiana, non in linea con la tardiva idea piuttosto positiva che mi sono fatta di lui, molto comprensibile e spontanea, ma altrettanto inopportuna per un capo di governo, che non si dovrebbe lasciar trascinare, di fronte a microfoni e telecamere in risse da cortile e tanto meno in diatribe riguardanti questioni delicate e riservate. Ma tant’è. Chi di Russiagate vuole ferire, gira e rigira, di Russiagate finirà per morire. Ognuno può individuare il feritore e il morituro a suo piacimento.