“Aquile randagie”: ricordi meravigliosi e amare amnesie

Sono l’ultimo, in ordine anagrafico, dei nipoti di don Ennio Bonati, il meno qualificato di tutti a coltivare la memoria di questo prete, che mi permetto di definire col titolo del libro recentemente a lui dedicato: un sacerdote, uno scout, un teologo. Sono nato due mesi prima della sua morte, ne porto indegnamente il nome, lo considero il mio santo protettore.

Ho atteso con grande interesse l’uscita del film sulle “Aquile randagie”, il movimento antifascista nato all’interno dello scoutismo, quale coraggiosa reazione alla messa fuorilegge disposta da Mussolini dopo alcuni anni dalla sua salita al potere. È fortunatamente in atto la riscoperta di questo movimento, a cui convintamente ed operosamente aderì don Ennio Bonati, anche se la sua nascita si deve soprattutto e prevalentemente al coraggio ed alla lungimiranza dello scoutismo lombardo e ad alcuni suoi profetici ed eroici protagonisti.

Il film è indubbiamente un’ammirevole ricostruzione romanzata di una fase della vita dello scoutismo italiano, impegnato nell’antifascismo quale scelta esistenziale ed etica prima che politica. In esso giganteggiano due personaggi: don Andrea Ghetti e don Giovanni Barbareschi, peraltro grandi amici di don Ennio Bonati. Basta scorrere le pagine del libro succitato in cui sono contenuti i segni stupendi di una comunanza di ideali cristiani e civili con don Ghetti, per trovare le parole mirabilmente dedicategli appunto da don Ghetti ed è sufficiente rifarsi al giudizio riservatogli da don Barbareschi (lo definiva un “faro”).

Ebbene don Ennio, non è protagonista nel film, né principale, né secondario, né comprimario: per vederlo bisogna guardare il film in controluce, tramite cioè il protagonismo di due suoi grandi amici: don Andrea Ghetti e don Giovanni Barbareschi. Molto perché siamo all’ombra di due giganti, poco perché don Bonati brilla anche di luce propria.

Il film è bello: un’occasione per conoscere e rinverdire la storia dello scoutismo anche e soprattutto nella sua generosa e coraggiosa azione antifascista e nel salvataggio delle vittime della violenza, da qualsiasi parte e in qualsiasi momento venisse. Di questo movimento don Ennio Bonati fu uno dei rifondatori dopo la seconda guerra mondiale.

Probabilmente la pellicola è stata realizzata in economia pur essendo notevole a livello scenografico, fotografico, interpretativo e come portatrice di un messaggio di fondo emergente in chiave netta e coinvolgente. Gli autori avranno dovuto fare scelte comportanti tagli e rispondere alla necessità di concentrarsi su alcune figure. Persino quella di don Ghetti non è sufficientemente delineata e valorizzata. Certi episodi sono riportati in modo sbrigativo mentre avrebbero meritato ben altra raffigurazione.

Tutto ciò considerato, resta il fatto che a don Ennio Bonati ed al suo giovane seguace Giampaolo Mora non viene dedicato nessun episodio, nessuna parola, nessuna citazione, nessuna immagine. Senza alcun intento polemico bisogna pur ammettere che nella sceneggiatura del film un posticino per questi due parmigiani lo si poteva, oserei dire lo si doveva trovare. Le occasioni anche piccole non mancavano: l’amicizia con don Ghetti (bastava inserire un breve incontro tra i due); la spedizione per “correggere” i manifesti della propaganda fascista (don Ennio vi aveva partecipato concretamente); viene citata Monza nei suoi collegamenti con Milano (si poteva aggiungere anche Parma). Almeno in fondo al film, a livello didascalico, si poteva inserire una foto d’assieme in val Codera in cui don Bonati e Mora sono presenti. Niente!

Intendiamoci bene: quando si fanno ricostruzioni storiche esiste sempre il rischio di qualche grave dimenticanza. Don Bonati inoltre non ha bisogno di rivisitazioni postume; chi lo ha conosciuto direttamente o indirettamente lo considera un santo per tutta la sua testimonianza esistenziale; chi ne viene in contatto sente il profumo e ne resta affascinato. Molti però non sanno nemmeno chi sia e avrebbero bisogno di impararlo. Il film era un’occasione propizia: è stata clamorosamente mancata. Non sarebbe stato nulla di esauriente, ma avrebbe innescato la curiosità di approfondire la vita di un personaggio meraviglioso. Non è la prima volta che succede. La vivida e inossidabile memoria a livello famigliare è in netto contrasto con i silenzi attorno a don Ennio Bonati ed alla sua vita: sono stati la regola con qualche timida ma graditissima eccezione, proveniente soprattutto dal movimento scout.

Speravo che la cortina fumogena si fosse diradata, che la conventio ad excludendum si fosse definitivamente rotta. Non è così. Peccato. Speriamo nella prossima occasione. Un grazie di cuore ad Andrea Mora, il quale per l’occasione ha fatto un bellissimo ricordo di don Ennio e del padre Giampaolo: ha meritevolmente riempito un vuoto, che andava però coperto, almeno un pochettino, dal film. Complimenti comunque a tutti.