Il salotto cattivo della (non) politica

Come è arcinoto, non fa notizia un cane che morde un uomo, ma un uomo che morde un cane. Nel caso specifico si trattava di due uomini che si mordevano come cani. Ecco perché non ho seguito il dibattito televisivo tra i due Matteo nazionali, Renzi e Salvini nel salotto di Bruno Vespa. Il mio non è un atteggiamento snobistico, ma una convinta difesa d’ufficio della politica con la “P” maiuscola, un “basta” tacito ma clamoroso ai politicanti truccati da politici, una scrollata di spalle al ciarpame spacciato per roba moderna, un tentativo di rientrare nella politica faticosamente praticata abbandonando quella urlata a vanvera.

Stava per andare in onda “Porta a porta” preparato dalla grancassa mediatica, ho spento il televisore ed ho pensato a mio padre.  A volte, per segnare marcatamente il distacco con cui seguiva i programmi TV, si alzava di soppiatto dalla poltrona e, quatto, quatto, se ne andava. Mia madre allora gli chiedeva: “Vät a lét?”. Lui, con aria assonnata, rispondeva quasi polemicamente: “No vagh a lét”. Era un modo per ricordare la gustosa chiacchierata tra i due sordi. Uno dice appunto all’altro: “Vät a lét?”; l’altro risponde: “No vagh a lét”. E l’altro ribatte: “Ah, a m’ cardäva ch’a t’andiss a lét”.

Ma io non sono andato a dormire, prima di addormentarmi ho fatto la mia preghiera politica serale, ho letto alcuni passaggi dei preziosi libri che raccolgono il pensiero di Aldo Moro, Amintore Fanfani e Giorgio La Pira: mi sono rasserenato, dopo di che ho dormito molto bene, lontano dal frastuono insensato proveniente da un salotto televisivo che di salotto ha ben poco.

Il giorno dopo ho faticato non poco ad evitare l’eco del non avvenimento: ho chiuso gli occhi e le orecchie, ho tirato qualche respirone e mi sono messo a scrivere queste poche e povere righe. Ho tentato una similitudine calcistica, ritornando sempre agli insegnamenti paterni. Il concetto, che aveva mio padre del fenomeno calcio, tagliava alla radice il marcio; viveva con il setaccio in mano e buttava via le scorie, era un “talebano” del pallone. Per evitarle accuratamente pretendeva che il dopo partita durasse i pochi minuti utili per uscire dallo stadio, scambiare le ultime impressioni, sgranocchiare le noccioline, guadagnare la strada di casa e poi…. Poi basta. “Adésa n’in parlèmma pu fìnna a domenica ch’ vén”.

Ho seguito quindi il suo consiglio, non mi sono lasciato irretire né dalla partita, né dal dopo partita, ho semplicemente scelto un’altra partita, quella vera, quella dei problemi reali e della risposta ad essi in base alla cultura politica. Ho evitato il rischio di prendere lucciole per lanterne. Certo, è una gara durissima, quasi impossibile. In un certo senso ringrazio amaramente Renzi e Salvini per avermi aiutato a scegliere. Possibile che a Renzi non sia venuto un dubbio (solo a lui concedo a fatica questo beneficio) e non abbia pensato: “Dio mio, come sono caduto in basso…”. Ho aperto questa riflessione con la notizia che due uomini si erano azzannati come cani da combattimento, termino chiedendo scusa e rivedendo il fatto del giorno: si è trattato solo di cani, pardon…uomini, che si mordevano la coda.