La prosopopea dimaiana

Nell’opera lirica Tosca, tratta come vicenda dal dramma storico di Victorien Sardou, durante la tortura del pittore bonapartista Mario Cavaradossi, il barone Scarpia, spietato Capo Della polizia, non sopporta che il torturato riesca a parlare per dare consigli a Tosca e ad un certo punto sbotta e grida. “Ma fatelo tacere!”.

La similitudine è ingenerosa, ma nell’attuale fase politica Luigi Di Maio si sente un grillista sottoposto a tortura e, forse proprio per questa ragione, continua a sciorinare, dal confino del ministero degli Esteri a cui è stato condannato, affermazioni gratuite sul programma di governo alla ricerca di un’identità perduta e di un ruolo politico misconosciuto da tutti. Vuole far vedere che conta ancora qualcosa e non perde occasione per distinguersi e ricattare il partner piddino.

La sua ultima trincea è l’iva: guai a toccarla per rimodularla; se il governo avrà l’ardire di toccare i fili dell’imposta sul valore aggiunto, cadrà miseramente sotto le picconate dimaiane. Giuseppe Conte avrà nei secoli il merito di avere spazzato via Matteo Salvini dal ministero degli Interni, da dove avvelenava la politica spargendo fiale di sovranismo e populismo. Non sarebbe il caso di riservare lo stesso trattamento a Luigi Di Maio allontanandolo definitivamente dal governo? Alla Farnesina non si capisce cosa ci stia a fare. La leadership del M5S l’ha perduta. La sua credibilità è finita nell’abbraccio soffocante con Salvini. Se resta in pista lui, facendo il pesce in barile fra governo e movimento, i pentastellati arriveranno a crollare ulteriormente nei consensi.

Forse Giuseppe Conte lo sta cuocendo a fuoco lento con la tacita benedizione di Beppe Grillo. È l’uomo dallo strafalcione facile e la storia gli dedicherà quella rassegna di svarioni linguistici e culturali che i giornali gli hanno già ampiamente riservato. Mi aspettavo che il presidente Mattarella gli mettesse il veto, ma era pretendere troppo. Sembra uno che rientri da un lungo viaggio e pensi di essere ancora in regime pentaleghista: nessuno l’ha informato e lui continua a fare il verso all’alleato Salvini. Qualcuno, prima o poi, gli dovrà pur dire, che il governo è cambiato, che non è più vice-presidente del Consiglio, che i grillini lo vedono come un “bego nella minestra”, che all’estero lo considerano un poveretto e che in Italia fa ormai la parte del poveraccio. Nel frattempo lui continua a dare aria ai denti. Quelli che…votano M5S perché Di Maio sparla bene.

È l’insopportabile ultimo della classe, che gioca a fare il primo. Possibile che nessuno riesca politicamente a toglierlo di mezzo (discorso solo ed esclusivamente politico: non voglio istigare nessuno contro di lui, su queste cose non si scherza). Se devo essere sincero, mi sta più sulle scatole lui di Salvini. Se servisse al riguardo aumentare un pochettino l’iva, ci starei. Sì, perché nella sua immaginazione farebbe cadere il governo, ma in realtà cadrebbe lui e ci libererebbe per sempre dall’ignoranza fatta politica. Sarebbe il secondo atto del sollievo, concetto acutamente introdotto da Beppe Severgnini per il governo Conte II. Al sollievo per l’emarginazione di Salvini e delle sue dannose sparate si aggiungerebbe quello per un “fatti più in là” riservato a Di Maio. In democrazia non si chiude la bocca a nessuno, ma farei una pacifica, morbida e democratica eccezione.

Nella sua stucchevole battaglia contro gli aumenti dell’iva ha trovato un occasionale alleato in Matteo Renzi anche lui impegnatissimo nel fare implacabilmente le pulci a Conte ed a pungerlo in continuazione: cose che capitano. Per quel poco di stima che mi rimane verso il leader di “Italia viva”, il nuovo partito senza storia e senza futuro, sotto sotto e cinicamente mi auguro che la vena rottamatrice renziana si possa scaricare su Di Maio, trascinandolo nel gorgo dell’antigoverno per poi giubilarlo con il solito spregiudicato ritornello dello “stai sereno”. A meno che nel gorgo non ci finiscano entrambi e vi trascinino il governo e il Paese.