Conte e i gabbiani

Quando giudicava positivamente, pur con la necessaria cautela, un politico, soprattutto un personaggio chiamato a governare il Paese, mio padre si esprimeva in modo eloquentemente colorito:  “Al n’é miga un gabbiàn…  a  pära facil mo l’ é dificcil bombén… né gh vól miga di stuppid parchè i stuppid i s’ fermon prìmma”. Lo avrebbe detto sicuramente di Giuseppe Conte, superando tutte le perplessità sollevate dalla sua prima esperienza governativa e forse ancor più dalla seconda che si sta avviando.

Non voglio nascondermi dietro le battute paterne per scusarmi di essermi in parte sbagliato nei confronti di Giuseppe Conte. Ero partito considerandolo un premier improvvisato, uscito dal cilindro grillino, un burattino manovrato da Di Maio e Salvini, un personaggio scialbo e grigio stretto nella morsa pentaleghista, un uomo con poca dignità chiamato a svolgere un compito spropositato rispetto alla sua esperienza ed alla sua preparazione. Forse non avevo tutti i torti, ma il tempo sta dando ragione a lui. Con molto equilibrio e grande prudenza, sotto la sapiente sorveglianza del Capo dello Stato, ha saputo conquistare il favore della gente e dei colleghi di mezzo mondo fino a liberarsi, in modo quasi spregiudicato, del gravame leghista per riproporsi nel suo ruolo con una compagine riveduta e corretta.

Spero che il vero Giuseppe Conte sia quello che sta emergendo nell’ambito dei primi passi del governo giallo-rosso. Non a caso si intravede nei suoi confronti una certa qual insofferenza di Luigi Di Maio, il quale probabilmente si era abituato a vivere la presenza di Conte come una mera sponda rispetto alla prepotenza del gioco politico giallo-verde ed ora si trova a fare i conti con un interlocutore autonomo ed autorevole che gli fa ombra e gli crea qualche fastidio.

Giuseppe Conte, senza esagerare nei miei giudizi per farmi perdonare l’ipercriticità iniziale, sta dimostrando una certa convinta autonomia d’azione pur nel dovuto rispetto delle forze politiche che lo sostengono. Ha conquistato con le buone maniere un ruolo significativo a livello europeo ed internazionale, sta lanciando messaggi dialoganti alle forze sociali, sta dimostrando un garbo ed una misura ammirevoli nell’approccio ai gravi problemi esistenti sul tappeto. È presto per gridare al miracolo, ma, se la giornata si vede dal mattino, si può sperare in qualche squarcio di sereno.

Per la verità il mio cambiamento di giudizio nei suoi confronti è maturato gradualmente e quindi non è soltanto dovuto alla sua virata politica piuttosto imbarazzante ed azzardata. Ho visto crescere la mia stima nei suoi confronti ascoltandolo ed apprezzandone la correttezza e l’eleganza e soprattutto la deferenza nei confronti delle istituzioni democratiche, in particolare del Parlamento che lo aveva fiduciato e del Presidente della Repubblica che lo aveva nominato. Poi è arrivato il capolavoro della totale presa di distanza dall’insopportabile e pericoloso fanfarone nemico e anche dai fanfaroni amici, della ricreata verginità in vista di un clamoroso ma necessario ribaltone.

Ho seguito con interesse la sua recentissima partecipazione ad un dibattito con Maurizio Landini, leader CGIL, di fronte ad una platea molto attenta nell’ambito delle Giornate del Lavoro. Due personaggi, come direbbe mio padre, “chi pòccion int al so’ calamari”, finalmente alla ricerca di un dialogo schietto e costruttivo, due galantuomini a confronto. Si respirava un’aria positiva, lontana dalle solite forzate ed artificiali dialettiche. Ognuno impegnato a fare il proprio mestiere con molto impegno e tanta convinzione, senza demagogia e senza propaganda. Era ora!