L’intelligence guerrafondaia

L’inviato a New York de “La stampa”, in una pregevole corrispondenza dalla capitale statunitense, in ordine all’inquietante situazione venutasi a creare in Medio Oriente, ipotizza che “l’attacco contro le strutture petrolifere saudite sia stato lanciato da una base iraniana, o da una nave militare nel nord del Golfo Persico, usando missili che volavano a bassa quota assistiti dai droni. Questo è il sospetto più fondato su cui sta lavorando l’intelligence americana, per determinare il colpevole del bombardamento di Abqaiq, e la riposta definitiva potrebbe arrivare presto, perché gli investigatori hanno in mano almeno uno dei vettori usati. Se le prove confermeranno la responsabilità di Teheran, la Casa Bianca dovrà decidere la risposta, e il Pentagono ha già presentato al presidente Trump una serie di opzioni”.

Il reportage prosegue così: “Se questa ipotesi verrà confermata, si tratterebbe di un atto di guerra di cui Teheran sarebbe colpevole. A quel punto Trump dovrebbe decidere come reagire, evitando però l’impressione che stia conducendo una guerra per procura al posto dell’Arabia, e soprattutto il rischio di scatenare un conflitto totale con la Repubblica islamica, proprio dopo aver licenziato il consigliere per la Sicurezza nazionale Bolton perché premeva troppo per il cambio di regime. Quando a giugno gli iraniani avevano abbattuto un drone americano Global Hawk, il capo della Casa Bianca aveva prima ordinato e poi fermato una rappresaglia. Restando nuovamente immobile rischierebbe di fare come Obama, quando aveva rinunciato a far rispettare la «linea rossa» varcata da Assad con l’attacco chimico del 2013. Il Pentagono ha proposto bersagli come i siti di lancio dei missili, o attacchi digitali per bloccare la produzione petrolifera, più che gli stessi pozzi”.

Ebbene, mentre il giornalista succitato azzarda un parallelismo con l’inerzia di Obama nei confronti degli attacchi siriani del 2013, mi permetto di rammentare un’altra situazione simile. Tutti ricordiamo Colin Powel, allora segretario di Stato americano, che mostrava un reperto a dimostrazione della presenza di armi atomiche in Iraq. Allora fu l’inizio di una guerra inutile volta ad abbattere il regime di Sadam Hussein, oggi potrebbe essere l’avvisaglia della virata bellicista contro lo scomodo e pur folle interlocutore iraniano.

Come ho già scritto in altre occasioni, a volte, nella storia passata e recente, sono state adottate decisioni epocali e drammatiche sulla scorta di elementi falsi (guerra all’Iraq), di ricostruzioni romanzate, di finte battaglie di principio (guerra alla Libia), di menzogne spudorate sciorinate per catturare consenso all’interno del proprio Stato, di questioni democratiche messe in campo per coprire sporchi interessi speculativi. Non dimenticherò mai appunto l’impudenza con cui fu preso in giro il Consiglio di sicurezza dell’Onu con autentiche “patacche spionistiche”: ne nacque una guerra in Iraq con migliaia e migliaia di morti le cui conseguenze stiamo ancora pagando e probabilmente pagheremo per non so quanto tempo.

La presenza in campo di un personaggio imprevedibile, sconclusionato e inaffidabile come Donald Trump mi mette ancor più i brividi: un referto spionistico, con tutte le incertezze che comporta, messo nelle mani di un irresponsabile, diventa una spaventosa evenienza. È vero che gli iraniani hanno il vizio di punzecchiare gli Usa e l’Occidente, toccandoli nel punto debole petrolifero, ma speriamo prevalga la prudenza di non scherzare col fuoco. Non c’è crisi petrolifera che possa giustificare una guerra.