Gli slogan stanno in poco posto

Lo stucchevole ritornello leghista sulla vocazione alle poltrone è puro ed acido qualunquismo per due motivi molto semplici. Innanzitutto se c’è questo difetto è generale e trasversale; riguarderebbe tutta intera la classe politica, tutti i partiti, tutti i governi e non soltanto gli ultimi arrivati a palazzo Chigi. Per giungere all’accordo di governo i pentaleghisti impiegarono oltre un mese in un tira e molla vergognoso: si era ormai avviata la procedura per un governo tecnico e ci volle solo la pazienza e lo scrupolo presidenziale di Mattarella per consentire che nascesse il governo giallo-verde. Quella interminabile trattativa riguardò il contratto di governo, ma anche gli equilibri di potere e le scelte dei componenti la squadra a cominciare dal premier. Salvini puntava decisamente alla poltrona di ministro degli Interni e anche le altre poltrone furono spartite col bilancino del farmacista (basti pensare ai due vice-premier messi di guardia…). Quindi è perfettamente inutile fare finta di scandalizzarsi, atteggiandosi a verginelle della politica e a difensori del popolo. Ma fatemi il piacere…

Poi, il problema della spartizione delle poltrone non è di per sé cosa negativa: bisogna vedere con quale spirito si vanno ad occupare e a quale scopo. Questo lo si può verificare solo a posteriori. Il precedente governo non ha certo brillato in tal senso e non ha onorato le poltrone, facendone spesso il pulpito da cui fare una estenuante campagna elettorale. Sarà meglio quindi cambiare ritornello.

In effetti c’è un secondo punto d’attacco per la propaganda pregiudiziale dei leghisti contro il governo Conte 2. “Elezioni, elezioni” si grida nelle piazze, in Parlamento, nei media. Questa eventualità è stata valutata ed esclusa per il momento dal presidente della Repubblica, che ha verificato l’esistenza di una maggioranza parlamentare, un po’ strana ma reale, e quindi ha concesso il giusto respiro alla legislatura. Vale ben poco l’obiezione riguardante il cambio degli equilibri fra i partiti alla luce delle consultazioni locali, regionali ed europee: ogni elezione, pur avendo rilevanza politica, ha il suo scopo istituzionale e non a caso la consultazione politica ha una prospettiva quinquennale, per legare cioè il giudizio popolare al completo svolgimento del mandato parlamentare. Certi provvedimenti possono avere impatto negativo sul giudizio dei cittadini, poi, alla lunga possono avere un effetto ben diverso. Non si può quindi sottoporre il Parlamento ad un monitoraggio sondaggistico ed a continue verifiche provvisorie.

L’opposizione deve indubbiamente fare il proprio mestiere, ma sarebbe opportuno che si applicasse al merito e non si limitasse a pregiudiziali di metodo. Posso capire il livore leghista verso l’amante traditore, ma devono farsene una ragione: il loro matrimonio di interessi, formalizzato nel famoso contratto di governo, è miseramente fallito e, come avviene per i veri matrimoni, è inutile e impossibile risalire alle colpe, perché esse generalmente sono imputabili ad entrambe le parti. Chi è il traditore? Salvini con la sua smaniosa voglia di comandare e dettare le regole o Conte con la fine della pazienza messa a dura prova? Salvini che flirtava con le piazze o i grillini che flirtavano con l’Europa? I leghisti con i loro sbrigativi “sì” o i pentastellati con i loro infiniti “no”? Si tratta di un esercizio inutile e dannoso per tutti. I leghisti se ne facciano una ragione e si guardino in casa: le loro contraddizioni prima o poi usciranno dal baccano propagandistico e appariranno in tutta la loro evidenza.

È una fase politica strana e quasi paradossale. Bisogna raffreddare il clima. L’opposizione torni ad essere costituzionale. La maggioranza abbia la pazienza di costruire qualcosa di buono. Il governo smetta di litigare e chiacchierare per svolgere il suo compito di governare. Poi, a suo tempo, si giudicherà e, quando sarà il momento, si andrà anche a votare. Lo decideranno le scadenze costituzionali o quelle determinate dal capo dello Stato. Una cosa è certa: non andremo a votare perché urla Salvini o perché lo desidera la Meloni.