Quando la villania diventa stile

Ho ascoltato con sofferta attenzione l’intervento del senatore del partito democratico Matteo Richetti, il quale, in dissenso rispetto alla linea del partito, non ha votato la fiducia al governo Conte 2: argomentazioni lucide, obiettive e condivisibili. Nell’intervista rilasciata successivamente ha spiegato di avere dialogato a lungo col collega Graziano Del Rio, che ha tentato inutilmente di convincerlo a dare la fiducia a Conte, magari con tutti i distinguo, rimanendo nel gruppo parlamentare e nel partito. Due persone molto serie, due politici impegnati finalmente in discorsi di fondo. Dopo avere ascoltato, quasi con commozione, le loro reciproche attestazioni di stima, mi sono un po’ riconciliato col PD: pur con tutti i difetti e i limiti è l’unico partito politico che meriti attenzione e considerazione. Un vero peccato che Richetti se ne vada e che Del Rio non sia entrato nel nuovo governo.

Sono andato indietro nel tempo della mia modestissima esperienza politica: al termine della leadership zaccagniniana, emerse nella democrazia cristiana il ritorno all’impostazione di stampo doroteo, allora incarnata dal pur intelligente Arnaldo Forlani. Non poteva più essere il mio partito e decisi di dimettermi da semplice iscritto qual ero. Il carissimo amico Giorgio Pagliari tentò di convincermi a rimanere in pista, puntando sull’accattivante argomentazione di fare argine, come sinistra Dc, alla deriva di destra che si stava profilando. Restai fermo nella mia decisione, che diventò addirittura un addio definitivo alla militanza politica. Giorgio Pagliari ha fatto, con rara coerenza e grande spirito di servizio, la sua carriera politica. Io mi sono ritirato in buon ordine ed ho cercato di fare, con altrettanta coerenza e senso del dovere, un diverso percorso a livello professionale e sociale. Siamo rimasti amici, anzi sempre più amici. La politica comporta scelte importanti e decise, perché è una cosa seria e come tale va rispettata e vissuta.

Il giorno successivo al voto parlamentare sul governo Conte mi è capitato di assistere a una squallida performance televisiva dell’ex ministro leghista dell’agricoltura Gian Marco Centinaio: non riuscendo a trattenere, ma nemmeno a contenere, la rabbia per la disfatta politica leghista, si è addirittura rifiutato di incontrare la nuova ministra Teresa Bellanova per il passaggio delle consegne, trincerandosi dietro il fatto che tutto è perfettamente conosciuto dai tecnici ministeriali, ammettendo indirettamente di non aver dato alcun indirizzo politico a quel  dicastero.  Possibile scendere a tanta scortesia? Almeno un po’ di correttezza, un po’ di stile, un po’ di rispetto per una collega. No, la politica brutalmente incattivita. E questi sarebbero i preferiti dagli italiani? Ben venga il nuovo governo del sollievo (come lo ha acutamente e simpaticamente definito Beppe Severgnini).

Nello stesso giorno o in quello immediatamente successivo, durante una trasmissione politica mattutina Giuliano Cazzola, politico, giornalista, economista, ex sindacalista, ex parlamentare, si è espresso in modo triviale in un giudizio categorico su Matteo Salvini, mandandolo, senza giri di parole, a fare in c… Non mi scandalizzo, durante la mia esperienza, nelle sedi politiche o parapolitiche ho sentito e visto di peggio, con una piccola differenza:  allora  erano sfoghi episodici, che non intaccavano la sostanza del dibattito politico, oggi sono la triste sostanza del dibattito ridotto a sberleffi, rutti, urla, pernacchie e simili. Giuliano Cazzola si è adeguato, evidentemente non ne poteva più al punto che ha fatto addirittura molta fatica a chiedere scusa. Salvini ci va a nozze: è la sua politica. Speriamo che il sollievo di cui sopra non finisca, ma diventi definitivo.