Uno sfregio al Parlamento

Mi risulta che in sala parto vengano ammessi solo la partoriente, medici ed assistenti e, a richiesta, il padre del nascituro. Per la nascita del governo Conte 2 si è fatta un’eccezione, perché al parto oltre al Parlamento ha partecipato la piazza con grida e urla, che hanno coperto le parole contenute e misurate del presidente del Consiglio. Non mi riferisco tanto alla sguaiata ed equivoca manifestazione di piazza tenutasi in contemporanea all’inizio del dibattito parlamentare per la fiducia al governo (stendardi, saluti fascisti, persino crocifissi in chiave esorcista), ma alla piazzata fatta in aula dai parlamentari della Lega e di Fratelli d’Italia con reiterati cori da stadio, interruzioni continue, applausi di scherno (mancava solo il “devi morire” che a volte si sente negli stadi all’indirizzo di qualche avversario in campo).

Uno spettacolo indecente, un’autentica picconata alla democrazia parlamentare, uno sgarbo alla costituzione, offese urlate, grida vergognose e rancorose. Mi sono sentito umiliato e offeso. Il presidente del Consiglio, durante la sua replica, è riuscito a tenere un atteggiamento corretto anche se talora provocatorio: forse la decisione di controbattere puntualmente alle pesanti accuse è stata dettata dalla volontà di smascherare fin dall’inizio un’opposizione intenta alla contestazione violentemente parolaia e pregiudiziale. Non so dargli torto. Meglio giocare a carte scoperte.

Mi ha invece sorpreso e innervosito l’atteggiamento debole e inconcludente del presidente della Camera Roberto Fico: non ha voluto e saputo fronteggiare sul piano disciplinare l’attacco alla dignità dell’aula parlamentare trasformata in una vera e propria bolgia. Solo deboli e penosi richiami alla correttezza, un permissivismo inaccettabile e pericoloso. C’erano gli estremi per un richiamo altisonante e per l’interruzione della seduta con immediata convocazione dei capigruppo per i provvedimenti del caso. Roberto Fico, come si suole dire, non ha tirato fuori i coglioni, forse perché, politicamente ed istituzionalmente parlando, non li ha o forse perché temeva di essere coinvolto dagli attacchi leghisti (si sono ben guardati dall’applaudire all’operato di Mattarella e, se tanto mi dà tanto, potevano incollare al muro il presidente della Camera come una pelle di Fico).

Ha risuonato reiteratamente l’urlo “elezioni-elezioni” come delegittimazione del Parlamento riunito in assemblea, del Governo che chiedeva la fiducia, del Presidente della Repubblica che ha ritenuto di proseguire la legislatura e di non sciogliere il Parlamento. A Fico correva l’obbligo di intervenire per chiarire questi aspetti e di reagire a difesa del Parlamento e delle altre Istituzioni: un Pertini, uno Scalfaro, una Iotti ed un Napolitano avrebbe reagito duramente sentendosi investiti della parte. Invece, “Colleghi vi richiamo all’ordine…” e quelli a urlare ancora più forte con gesti da osteria (con tutto il rispetto per le osterie).

Stiamo bene attenti perché gli attacchi alla democrazia partono proprio dalla sostituzione della logica parlamentare con quella della piazza in una confusione di ruoli che sappiamo dove tende a parare. Pur non essendo mai stato comunista, ho tanta nostalgia per il senso di responsabilità di quel partito, che sapeva fare durissima opposizione nelle piazze e in Parlamento, ma rispettando la Costituzione e la democrazia. Qualcuno sta facendo un forzato parallelismo tra la diplomazia politica di Giuseppe Conte e quella storica dei democristiani: mi sembra un po’ eccessivo e fuorviante. Se mai Conte potesse assomigliare a un democristiano, certamente i leghisti e i fratelli d’Italia non assomigliano ai comunisti, non in quanto portatori di una politica di estrema destra, ma in quanto estranei al patto costituzionale che sta alla base della nostra democrazia parlamentare.