L’Italia fa bene i conte

Sono partito con molto scetticismo, snobbando le vicende della crisi di governo e della formazione di una nuova compagine ministeriale, poi via via la passione per la politica ha (giustamente) prevalso e mi sono ritrovato incollato al video a seguire le maratone giornalistiche a margine delle trattative. E voglio volare sulle ali di questa passione rischiando di saltare di palo in frasca.

Ero andato con mia madre e mia nonna a trascorrere qualche giorno di vacanza a Fabbro Ficulle (paesino in provincia di Terni), ospite del convento dove viveva mia zia suora Orsolina.   Avevo quattro-cinque anni, non ricordo con precisione. Pranzavamo in una saletta messa molto gentilmente a nostra disposizione ed in quella saletta vi era un apparecchio radio: la nonna gradiva ascoltarla durante il pasto, soprattutto le piaceva ascoltare il giornale radio. Un giorno al termine del notiziario politico me ne uscii candidamente con questa espressione: “Adesso nonna chiudi pure la radio, perché a me interessa il governo”. Lascio immaginare le reazioni di mia madre, ma soprattutto di mia nonna, incredula e divertita, che rideva di gusto e forse aveva anche fatto qualche pensiero su quello strano nipote.

Evidentemente la politica ce l’avevo nel sangue, sono nato e vissuto in oltretorrente, il rione popolare dove ho respirato la politica fin da bambino, dove i borghi, gli angoli, gli androni delle case parlavano di antifascismo, dove la gente aveva eretto le barricate contro la prepotenza del fascismo, dove la battaglia politica nel dopoguerra si era svolta in modo aspro e sanguigno, dove il popolo, pur tra mille contraddizioni, sapeva esprimere solidarietà assieme a lotta di classe e battaglia politica.

Ma perché questi ricordi? Il mondo è cambiato e le nostalgie lasciano il tempo che trovano. Non è vero, basti pensare che durante le animate ed approfondite discussioni con l’indimenticabile amico Walter Torelli, ex-partigiano e uomo di rara coerenza etica e politica, agli inizi degli anni novanta constatavamo come alla politica stesse sfuggendo l’anima, se ne stessero andando i valori e rischiasse di rimanerci solo la “bottega” ed al cittadino non restasse che scegliere il “negozio” in cui acquistare il prodotto adatto alla propria “pancia”. Fummo facili profeti: dopo il craxismo, che aveva intaccato le radici etiche della democrazia, venne il berlusconismo a rivoltare il sistema creando un vero e proprio regime in combutta col primo leghismo alla Bossi, poi è arrivato il grillismo con la carica distruttiva della sua antipolitica, dulcis in fundo è sopraggiunto il leghismo riveduto e scorretto alla Salvini.

Il governo pentaleghista, durato per oltre un anno, ha fatto in tempo in questo breve periodo a retrocedere la politica a mera contrattazione, con la scusa di superare gli schemi destra e sinistra, con la manfrina del superamento del sistema, con la menata della lotta contro i poteri forti, mettendo insieme populismo di destra e di sinistra, spargendo paure e illusioni.  Un velleitario e folle connubio, un matrimonio di interessi trasformatosi in convivenza da separati in casa. Ad un certo punto sono volati i piatti e la rottura e stata inevitabile: cercare il colpevole è tempo perso perché prima o poi doveva succedere, meglio prima che poi.

C’era bisogna di cambiare libro e temo invece si sia soltanto voltata la pagina: meglio di niente. Trasferiamoci e diamo un’occhiata a quanto è successo per la nomina alle più alte cariche istituzionali europee. L’Italia, che sta svolgendo un ruolo di mero contorno, quasi per puro caso, ha ottenuto, per un suo rappresentante, l’importante e prestigioso incarico di presidente del Parlamento di Strasburgo: la scelta è andata, più per equilibrismi politici a livello europeo che per riconoscimento dell’importanza del nostro Paese, su David Sassoli, un serio ed apprezzabile uomo di sinistra, un europeista convinto, un ottimo personaggio per una istituzione da valorizzare e potenziare. Ebbene, i leghisti e i fratelli d’Italia, gli hanno votato contro: legittimo se si fosse trattato di un incarico meramente politico, assurdo dal momento che si trattava di una carica istituzionale. Il nazionalismo di certi partiti si ferma ancor prima della nazione, si blocca nell’orto di casa dove non si vuol nemmeno guardare l’erba del vicino. I grillini in quell’occasione non ho capito cosa abbiano combinato (hanno lasciato libertà di coscienza) tanto sono sperduti in un parlamento che li vede figli e fratelli di nessuno.

Poi è avvenuto il miracolo sulla via di Strasburgo: i parlamentari europei pentastellati hanno votato per Ursula von der Leyen assieme ai colleghi del PD (terzo incomodo i berlusconiani). Qualcuno si è affrettato a intravedere, in questo voto per la presidenza della Commissione europea, una svolta, che avrebbe avuto importanti riflessi sulla costituzione del governo giallo-rosso. In effetti il primo atto ufficiale del governo Conte bis o Conte 2, come dir si voglia, ha visto la nomina a commissario europeo agli affari economici, in rappresentanza dell’Italia, di un altro conte, vale a dire Paolo Gentiloni (esponente politico democratico di livello, non certo in linea con l’impostazione grillina): la musica è un po’ cambiata e a Bruxelles se ne sono accorti promuovendo a pieni voti il nuovo governo, mentre Christine Lagarde, nuovo presidente della Bce, ha speso parole buone per il presidente del consiglio italiano. Dobbiamo abituarci all’idea che gran parte della politica si fa e si svolge in sede europea e quindi, se qualcosa di buono si può sperare, bisogna forse prendere la rincorsa dalla UE. Altro che sovranismo! Una nuova pagina europea? Sembra di sì. Anche in politica la speranza è l’ultima a morire.