I berretti a sonagli

Matteo Salvini vedeva crescere smisuratamente voti e sondaggi, si sentiva l’attore protagonista a livello popolare, mentre era costretto al ruolo di comprimario all’interno di un governo, che più lo ruminava e più non riusciva a digerirlo. Si è stufato e, dal suo punto di vista posso capirlo: un logorante e continuo tira e molla di atteggiamenti politici. Le elezioni europee gli avevano mandato il messaggio: la tattica giusta è la tua, siamo con te, viva Salvini, abbasso il M5S. Come resistere alla tentazione di far saltare il banco. Detto fra i denti e fatto nel peggiore dei modi. La comica finale del governo Conte è diventata però la tragica fine di Salvini, dell’accusatore pubblico che diventa l’imputato.  Non è forse successo così in Senato!?

Matteo Renzi vedeva avanzare minacciosamente le truppe salviniane alla conquista delle elezioni anticipate, che avrebbero sicuramente impoverito la sua rappresentanza parlamentare, quei circa 100, fra deputati e senatori, legati a lui e ultima trincea difensiva per il suo ruolo vieppiù indebolito nel partito e nel Paese. Dal suo punto di vista posso capirlo: dopo essere stato segretario potente e premier rampante, dopo aver conquistato il 40% dei voti alle elezioni europee, dopo aver impostato una riforma istituzionale, dopo aver governato per parecchio tempo, ridotto al ruolo di minoranza nel PD con scarsissime chance di rivincita. Bisognava evitare a tutti i costi le elezioni anticipate, per almeno un annetto, per guadagnare tempo e magari fare un nuovo partito con cui presentarsi alle urne. L’unico modo per ottenere ciò era baciare il rospo, strizzare l’occhio ai grillini, farsi promotore di un ribaltamento tattico camuffato da governo di salute pubblica.

Il movimento cinque stelle viene preso d’anticipo da Salvini e dallo stesso Conte: l’uno attacca e l’altro si difende attaccando. Il governo va in pezzi e si avvicina lo spettro delle elezioni a cui presentarsi con piedi stanchi e nudi e mani poco bianche e poco pure. Meglio attestarsi sulla linea della continuità di Conte, non c’era alternativa, sperando che il PD, messo alle strette dall’offensiva renziana, potesse aprire una trattativa per un nuovo governo. Il PD era tentato dalle elezioni anticipate al punto che sembra avesse dato rassicurazioni in tal senso a Salvini, però, messo alle strette da un incalzante richiesta di assunzione di responsabilità, messo all’angolo dai renziani in vena di promuovere un ribaltone storico, si è piegato alla realpolitik ed ha aperto il confronto coi grillini, dando ad esso un aperto significato politico di resistenza al salvinismo dilagante e di coperta prefigurazione del futuro presidente della Repubblica eletto dall’attuale parlamento e quindi lontano dall’ ipoteca destrorsa. Governo di continuità per i grillini, governo di discontinuità per i piddini: ci sarà da faticare un po’. Ma alla fine il cerchio quadrerà.

Anche Giuseppe Conte non è da meno: di giravolte ne fa parecchie, ma le fa bene, con un certo stile. Per oltre un anno sopporta tutto, ingoia tutto, fa la figura del burattino. Poi ha uno scatto di dignità, passa all’attacco, si sfoga con classe, si candida alla discontinuità nella continuità, incassa endorsement a destra e manca, diventa l’ago della bilancia, accetta un incarico che gli consente di rimanere a palazzo Chigi, da cui sarà probabilmente molto difficile schiodarlo, salvo altre pagliacciate in arrivo.

Sì, perché le pagliacciate si dipanano una dopo l’altra, si intersecano, si autogiustificano. Tutti vogliono il bene del Paese, mentre in realtà tutti, più o meno puntano all’interesse di parte. L’unico personaggio, che mette al primo posto il rispetto della Costituzione e la conseguente difesa della democrazia, è Sergio Mattarella, il presidente della Repubblica, costretto a destreggiarsi tra i pagliacci in attesa che la commedia finisca, possibilmente non in tragedia. Quando ascolto senza prevenzione i pagliacci, sono costretto a constatare che tutti hanno le loro “buone” ragioni o meglio che non hanno tutti i torti. Non resta che buttarsi nelle allegorie, per (non) saltarci più fuori.

Bisogna ricorrere a Luigi Pirandello: “Così è se vi pare”, dove alla fine le verità sono tante a seconda dei punti di vista. Che la Verità assoluta esista o meno è cosa tantomeno irrilevante: è questo il messaggio finale di lettura dell’opera dove Pirandello mette lo spettatore di fronte ad una sorta di ‘barriera sul palcoscenico’ costringendolo ad interrogarsi sul significato stesso di ciò che ha appena visto e l’assenza stessa di significato.

Meglio ancora ricorrere al “Berretto a sonagli”.  “Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d’orologio in testa. La seria, la civile, la pazza…dovendo vivere in società, ci serve la civile…ci mangeremmo tutti, signora mia, l’un l’altro, come tanti cani arrabbiati.  Non si può. E che faccio allora? Do una giratina così alla corda civile. Ma può venire il momento che le acque si intorbidano… se poi non mi riesce in nessun modo, sferro, signora, la corda pazza, perdo la vista degli occhi e non so più quello che faccio!”. Così l’annuncio di Ciampa, il personaggio più complesso della tragicommedia pirandelliana.