La Vergine Maria ci liberi da Salvini

Il governo pentaleghista, tra perenni contrasti, continui scontri, clamorosi litigi, tra mille paralizzanti contraddizioni, fra un tira e molla e l’altro, in mezzo a provvedimenti sconclusionati, adottati sul filo del rasoio costituzionale, sbattuti in faccia agli allocchi, stava, subdolamente e in modo strisciante, varando una riforma in cui si sono cimentati in molti con scarso successo e disastrosi risultati: la riforma elettorale. Senza bisogno di una legge ad hoc stava infatti cambiando volto al sistema politico italiano.

Il M5S si stava sciogliendo come neve dimaiana al sole salviniano: i grillini urlavano, strepitavano, protestavano e poi, quando si arrivava al dunque, chinavano il capo e tenevano per il giaguaro. Si intuivano i loro dubbi esistenziali, i loro contrasti interni, ma finiva col vincere la linea della continuità, che li portava al disastro. Il loro elettorato, per la parte più “reazionaria”, guarda infatti alla casa leghista, più credibile e rassicurante; per la parte più “rivoluzionaria” si stava stufando e orientando verso il ribellismo astensionista, che non si sa dove possa approdare (è presto per un eventuale ritorno a sinistra, mentre si affaccia il pericolo di una piazza, mediatica o reale che sia, rissosa e violenta). Prevaleva il ragionamento andreottiano: meglio tirare a campare dandola su all’infido alleato leghista piuttosto che tirare le cuoia in un bagno di sangue elettorale.

Le opposizioni di destra, ormai ridotte a sciocchi gregari della Lega, hanno intrapreso una loro gara a chi arriva prima e meglio all’appuntamento con l’orco che se li vuole mangiare: i Fratelli d’Italia stanno buttando i tradizionali voti pseudo fascisti nel vero e nuovo contenitore fascista; i Forzitalioti, meglio dire Berlusconi, sta brigando per salvare il salvabile e per non farsi troppo male nelle fauci del lupo leghista che si sta già leccando i baffi. Quindi a destra tabula rasa, un unico partito pigliatutto: la peggior destra possibile e immaginabile, egemonica rispetto a tutte le pulsioni negative emergenti in quell’area.

Le opposizioni di sinistra avrebbero un certo interesse a lasciare marcire la situazione con l’illusione di recuperare un elettorato in libera uscita alla ricerca di qualcosa di nuovo, anche se a questo elettorato rischiano di proporre qualcosa di vecchio: le loro divisioni massimaliste, i loro storici burocratismi, le loro incertezze riformiste, i loro deboli personalismi, i loro tradizionali difetti. Il partito democratico fa la voce grossa, ma non ha le corde vocali necessarie e quindi rischia di rimanere afono o comunque inascoltato. A sinistra si intravede una sorta di Aventino preventivo.

Nessuno degli attuali protagonisti, per i motivi suddetti, avrebbe avuto interesse tattico ad elezioni anticipate: sembravano tutti in attesa di arrivare obtorto collo ad un bipartitismo non solo imperfetto, ma orribile. Poi la situazione è precipitata: la Lega vuol passare sbrigativamente all’incasso elettorale e quindi lo scenario è diventato incandescente e strampalato. Tutti stanno improvvisando nuove tattiche: elezioni subito, elezioni fra qualche mese dopo il taglio dei parlamentari, elezioni il più tardi possibile per arginare il ciclone Salvini. Persino Beppe Grillo ha ripreso a farneticare ipotizzando il ritorno dei barbari: un modo vecchio come il cucco per salvare la faccia al suo movimento, gridando al lupo che se lo vuol mangiare.

In mezzo a tutto ciò sta il presidente della Repubblica, che giustamente non vuole fare politica, ma, così facendo, rischia di lasciare libero campo alla rovinosa evoluzione della politica. Egli giustamente si preoccupa della governabilità di una situazione socio-economica assai problematica, teme una deriva “agovernativa”, un vuoto di potere pericolosissimo, perché l’Europa e il mondo non sono disposti ad aspettare i nostri comodi. Mattarella si rende conto che un’accelerazione della crisi di governo sarebbe un perfetto assist alla Lega e vuole passare alla storia come il più corretto e leale presidente e non come il presidente che assiste pilatescamente alla svolta autoritaria del sistema politico. Ha in mano una patata bollente. I più avveduti osservatori e i più sensibili cittadini guardano a lui con fiducia: speriamo che sfoderi la bacchetta magica del suo carisma e ci tolga dal pantano in cui stiamo sprofondando.

In questo assurdo bailamme Matteo Salvini non trova di meglio che agitare lo specchietto per le allodole dell’affidamento alla Vergine Maria, tirandola dalla sua parte con rosari di sciocchezze. Roba da ridere o piangere a seconda dei casi, che merita solo un cenno in quanto rischia di diventare la ciliegina clericale sulla torta fascista. Spero nella riottosità clericale, anche se non mi illudo più di tanto. Con tutto il rispetto e la sana devozione per la Madonna, preferisco affidarmi laicamente a Sergio Mattarella, pregando la Vergine, questo sì, che aiuti il presidente a dipanare una matassa, che forse solo con un miracoloso aiutino dall’alto potrà essere democraticamente districata.