La spasmodica ricerca dei piatti di lenticchie

È stata pubblicata su un sito internet la registrazione di una conversazione, avvenuta il 18 ottobre scorso al Metropolitan Hotel di Mosca tra Gianluca Savoini, considerato dai media come il braccio destro del ministro degli Interni Matteo Salvini per i rapporti con la Russia, dalla quale si evincerebbe (il condizionale è d’obbligo in clima di parziali o totali fake news) lo scopo di convincere tre interlocutori locali a concludere un affare per vendere petrolio in Italia a prezzo scontato, in modo da generare poi una differenza di circa 65 milioni da destinare al finanziamento della campagna della Lega per le elezioni europee.

In realtà, nel minuto circa di file audio reso disponibile, non si sente Savoini parlare di fondi, ma solo perorare la causa politica della Lega spiegando il quadro in cui il partito si muove: «Noi vogliamo cambiare l’Europa con i nostri alleati. E una nuova Europa deve essere più vicina alla Russia perché vogliamo riprenderci la nostra sovranità. Salvini è il primo che vuole cambiare».

Savoini, presidente dell’associazione culturale Lombardia-Russia, nega di essere un emissario leghista e di agire per conto di Matteo Salvini, definisce l’incontro in questione una chiacchierata tra imprenditori su vari temi e nega che sia mai stato dato un centesimo o un rublo alla Lega da chiunque e da nessuno dei personaggi tirati in ballo dal sito americano. Il leader della Lega e vicepremier dal canto suo minaccia querele e nega categoricamente di aver preso fondi dalla Russia.

Non mi sorprende il fatto che la politica possa essere coinvolta in affari più o meno trasparenti a livello internazionale: si tratta di vedere il coinvolgimento fin dove arriva, se resta a livello di mero interessamento o di facilitazione nei rapporti imprenditoriali oppure se sconfina in vera e propria intermediazione direttamente o indirettamente remunerata o ricompensata.

Anche se la procura milanese ha aperto tempestivamente un fascicolo sulla vicenda con l’ipotesi del reato di corruzione internazionale, penso che non si caverà un ragno dal buco: troppo intricati e opachi questi eventuali rapporti per essere smascherati. Oltre tutto, se devo proprio essere sincero, non mi iscrivo al partito degli sputtanatori. Gli affari petroliferi, da che mondo è mondo, hanno sempre avuto un sottofondo di intrigo internazionale e quindi non mi colpiscono queste ultime emergenti indiscrezioni, peraltro relativamente piccole e probabilmente punte di iceberg sistemici. Il mio non è rassegnato cinismo, ma un etico e sofferto senso di repulsione verso molte cose di questo mondo. Certo essere chiacchierati a questi livelli dovrebbe togliere credibilità a chi si propone come moralizzatore e innovatore a tutto tondo.

Tuttavia il vero e grosso macigno resta quello politico: la posizione della Lega a metà strada fra gli Usa di Trump (come dimostra l’ultima eclatante visita di Salvini negli Stati Uniti) e la Russia di Putin (come dimostrano tanti discorsi e tante opinioni espresse in più occasioni).  Savoini nel difendersi, negando la conclusione di affari, ammette di avere parlato di politica e di avere accreditato Salvini come un affidabile referente per un’Europa vicina alla Russia. D’altra parte è inutile che gli Usa si scandalizzino, perché Salvini altro non fa che comportarsi alla Trump, facendo nel suo piccolo il verso al tycoon americano, mentre risulta che la Lega abbia firmato un accordo di cooperazione con il partito dello “zar”, Russia Unita (se vero, non è illegale e scandaloso, ma inquietante).

È inutile e stucchevole anche l’atteggiamento del M5S, che non ha nascosto certe simpatie politiche verso Putin e verso Trump, due squallide facce della stessa medaglia. Luigi Di Maio se l’è cavata con una battuta piuttosto ermetica e di stile andreottiano, che vorrebbe essere furbastra; ha dichiarato a margine della polemica: «Sto lavorando, ma meglio Putin che i petrolieri». Cosa intendesse dire lo sa solo lui.

Dove questi signori stiano trascinando l’Italia: questo è il problema! Non penso abbiano in mente una vera e propria strategia suicida, ma soltanto il penoso intento di scroccare qualche piatto di lenticchie al tavolo dei populisti, mentre all’Italia rimarrebbero le vergognose briciole che cadono dalla stessa tavola. E questi sarebbero i rinnovatori a cui gli italiani si affidano? Matteo Salvini, in questo stravagante momento politico, può fare paradossalmente ed ipoteticamente (la storia e la magistratura ce lo diranno) quel che vuole: leccare vomitevolmente i piedi a Trump, amoreggiare opportunisticamente con Putin, beffeggiare trivialmente l’Europa, lasciare celoduristicamente in mare migliaia di profughi, strizzare l’occhio ai petrolieri, mettere in campo affaristi di vario tipo, “cagare” in Parlamento e a Palazzo Chigi. Tutto bene quel che finirà male.