Dall’autogoverno all’autopulizia

È cambiata la magistratura o è cambiata l’opinione dei cittadini nei confronti della magistratura? Non intendo rifugiarmi nel corner dell’uovo o della gallina, ma riflettere in campo aperto sul dato inquietante, ma abbastanza scontato, del calo della fiducia dei cittadini nei confronti dei giudici: siamo al minimo, solo un italiano su tre dichiara di aver fiducia, mentre il 55% non ne ha.

Fatta la tara all’attendibilità dei sondaggi influenzati dalle recenti squallide vicende delle spartizioni affaristiche nell’assegnazione di incarichi a livello di Consiglio Superiore della Magistratura e delle commistioni tra politica e giustizia, resta il fatto che gli scandali minano la credibilità delle istituzioni, la scarsa credibilità delle istituzioni alimenta la sfiducia dei cittadini al limite del qualunquismo, le opinioni negative della gente indeboliscono l’assetto democratico. Il gatto si morde la coda in un circolo vizioso molto preoccupante.

Ricordo come nel periodo di tangentopoli, nello smarrimento generale, le due istituzioni che sembravano salvare il Paese dalla deriva fossero la Magistratura e la Chiesa. Punto l’attenzione sulla prima: sembrava, e in parte lo era, il baluardo contro il tarlo della corruzione che stava attaccando, come non mai, il tessuto politico. Ai tempi del berlusconismo imperante la scena si ripete e il ruolo della magistratura, seppure con forzature e reciproci accanimenti vari, viene interpretato come difesa contro l’avanzare di un vero e proprio regime. In entrambe le contingenze i giudici tentavano, direttamente e indirettamente, di supplire alle gravissime carenze della politica e di somministrare ai cittadini una sorta di virtuale ossigeno democratico. Sarebbe troppo lungo verificare se il “sogno” protettivo della magistratura fosse una fuga dalla realtà o una valida scialuppa di salvataggio.

Purtroppo il tempo sta dimostrando che nessuno è senza peccato e quindi anche il potere giudiziario fa una certa fatica a scagliare le pietre. Per la verità i recenti scandali, che hanno portato a inchieste, dimissioni, sostituzioni e addirittura al “grido” di allarme lanciato opportunamente dal Presidente della Repubblica, sono soltanto la grossa punta dell’iceberg di un diffuso malessere giudiziario fatto di lotte intestine, di correntismo imperante, di commistioni inammissibili, di inefficienze colpevoli. Non sarà quindi sufficiente eliminare alcune mele marce, perché probabilmente è tutto il sistema che ha bisogno di essere ripulito: l’organo di autogoverno dovrà avere il coraggio di diventare l’organo di autopulizia. Bisognerà evitare però le generalizzazioni che accentuano le conseguenze della malattia pregiudicandone la terapia.

Ho conosciuto giudici integerrimi, efficienti e impegnati e mi sono sentito oltremodo garantito nella mia esistenza e nel mio lavoro: la portata della funzione giudiziaria è enorme e ha conseguenze imprescindibili sulla vita dei singoli e dell’intera comunità. Ecco perché c’è da preoccuparsi addirittura per la tenuta democratica del Paese. I cittadini, nel loro pur eccessivo senso critico, reagiscono naturalmente con la sfiducia come appare dai sondaggi da cui sono partito. È vero che fa più rumore la pianta di un giudice che cade complottando rispetto alla foresta di una magistratura che fa il proprio dovere in mezzo a mille difficoltà. Però le piante malate cominciano ad essere troppe e il rumore della loro caduta sta diventando assordante. Forse si esagerava in un senso ai tempi di Tangentopoli e del berlusconismo, forse si esagera oggi in senso contrario. Resta la preoccupazione, che non si deve trasformare in caccia alle streghe o in disfattismo istituzionale, ma in seria opera di bonifica e di recupero dei valori costituzionali e democratici. Ce n’è per tutti, magistrati, politici, ministri, parlamentari, avvocati, esperti di diritto, forze sociali, società civile, semplici cittadini. Mattarella ha cominciato l’azione da par suo. Forza e coraggio!