Il tranello dello scontro violento

Ascoltando le prepotenti ed infuocate dichiarazioni di Matteo Salvini, penso al clima di intolleranza e odio che possono scatenare soprattutto nelle menti deboli e nei fanatici sempre in agguato. Forse il leader leghista non si rende conto dell’impatto incendiario che le sue strampalate tesi possono avere: una cazzata oggi, una domani, non vorrei che presto o tardi qualcuno reagisse in modo violento. Sì, perché, al di là del tono da osteria e delle connotazioni triviali, il suo parlare contiene una carica di violenza verbale a cui qualche soggetto potrebbe pensare di rispondere con violenza reale.

Per ora fortunatamente la violenza trova riscontri solo cartellonistici e murali. L’ultima scritta è apparsa su un muro di Bologna: “Salvini muori”. Benissimo ha fatto a reagire Lodo Guenzi, il leader dello Stato sociale, un affermato gruppo musicale: «Se fra una settimana è ancora lì, la cancello io. È davanti a casa mia e ogni mattina spero di trovarla cancellata. Lasciamo ad altri questo schifo e scegliamo l’intelligenza, il paradosso, l’ironia, il gioco, la poesia e la passione. Anche nello scontro, soprattutto nello scontro. Perché frasi come queste sono merda fascista, e non fanno che costruire una società fascista».

Sono perfettamente d’accordo con Guenzi, il quale parte dalla seguente considerazione: “la leggerezza è la migliore arma per dire qualsiasi cosa, ma solo se hai qualcosa da dire; se non ce l’hai devi essere un po’ tronfio, serio, devi mostrare un atteggiamento”.  Sembra il ritratto di Salvini. Il problema è che il non avere niente da dire e il dirlo con cattiveria innesca reazioni a catena. Sarà bene darci un taglio alla svelta prima che sia troppo tardi. Prima o dopo Salvini se ne andrà a casa, ma il pericolo è che lasci dietro di sé una indelebile scia di odio e violenza, che faccia regredire la cultura e il dibattito politico riducendoli ad un letamaio, ad una fogna a cielo aperto.

In molti si interrogano su Salvini e la sua vocazione autoritaria, la sua spinta dittatoriale, il suo protagonismo antidemocratico. È un atteggiamento che rischia di fare il suo gioco: dargli troppa importanza, prenderlo sul serio, reagire in modo impegnato, finiscono con aumentare l’attenzione verso un fenomeno da baraccone. Sono perfettamente d’accordo con Erri De Luca che lo definisce un guappo di cartone, un cane da guardia o un buttafuori, oltretutto inefficiente.

Le reazioni violente rischiano invece di vittimizzarlo e “santificarlo subito”; il combatterlo con stupide e riprovevoli minacce finisce col portare acqua al mulino dove ci si infarina inevitabilmente. Qualcuno mi considererà un aristocratico, uno snob con la puzza sotto il naso. Preferisco la mia puzza a quella derivante dal rotolarmi in un patetico scontro tra Salvini e il resto del mondo.

Con Guenzi si è congratulato il commissario provinciale della Lega, Carlo Piastra: «Non sono un grandissimo fan dei cantanti che fanno politica, ma il suo gesto dimostra grande intelligenza ed educazione»: il deputato leghista si chiede perché non sia stato il Comune a muoversi per primo, in quanto Salvini non è solo il capo di un partito, ma il ministro dell’Interno e rappresenta le istituzioni. Avrebbe fatto meglio a tacere. Non si tratta infatti tanto di rimuovere una scritta per difendere la reputazione di un ministro, ma di cambiare stile politico trasferendolo dalla cialtroneria alla ragionevolezza. Da entrambe le parti, anzi partendo dalla parte che dovrebbe, come dice la Costituzione, ricoprire le cariche pubbliche con disciplina ed onore.

Resto molto preoccupato per il clima di odio che si va instaurando. Temo che lo si promuova scientificamente per poi strumentalizzarlo, facendo nascere cosa da cosa. Non bisogna quindi cadere nel tranello. Mio padre del fascismo mi forniva una lettura di base, tutt’altro che dotta, ma fatta di vita vissuta. Era sufficiente trovare in tasca ad un antifascista un elenco di nomi (nel caso erano i sottoscrittori di una colletta per una corona di fiori in onore di un amico defunto) per innescare una retata di controlli, interrogatori, arresti, pestaggi. Bastava trovarsi a passare in un borgo, dove era stata frettolosamente apposta sul muro una scritta contro il regime, per essere costretti, da un gruppo di camicie nere, a ripulirla con il proprio soprabito (non c’era verso di spiegare la propria estraneità al fatto, la prepotenza voleva così): i graffitari di oggi sarebbero ben serviti, ma non vorrei che, per tenere puliti i muri, qualcuno fosse mai disposto a cose simili. Ecco perché è pertinente il richiamo di Guenzi alla merda e alla società fasciste.