Lo squalo governativo e i pesci che abboccano

La mattina scorsa, in concomitanza con la notizia dell’avventuroso attracco della sea watch e l’arresto della sua capitana, ho ricevuto la telefonata di un carissimo amico, assai preoccupato per i rischi che Carola Rackete corre a livello penale in un processo che verrà presumibilmente celebrato per direttissima. Non ho potuto esprimermi, perché ero in autobus e avrei dovuto gridare la mia indignazione e magari rischiare anch’io di essere arrestato per vilipendio delle istituzioni (leggi ministro degli Interni e Guardia di Finanza). Tornato a casa ho messo nero su bianco la mia riflessione sull’accaduto in modo un po’ sui generis.

Infatti, l’esito dell’ultima vicenda della nave sea watch, costretta, dopo un lungo periodo di rifiuti e incertezze, a forzare il blocco e speronare addirittura una motovedetta delle Fiamme Gialle per scaricare a Lampedusa i migranti soccorsi in mare aperto, con la capitana messa agli arresti domiciliari in base a tali e tanti capi d’imputazione da far invidia al più delinquente e mafioso degli individui, mi ha indotto a rileggere “Il lupo e l’agnello”, una favola di Esopo, parafrasandone il testo.

Un lupo (Matteo Salvini) vide un agnello (la nave sea watch con 42 immigrati a bordo) vicino a un torrente (al porto di Lampedusa) che voleva bere (sbarcare) e gli venne voglia di mangiarselo (respingere la nave) con qualche bel pretesto (faceva il gioco dei trafficanti). Standosene là a monte (al Viminale), cominciò quindi ad accusarlo (la capitana della sea watch) di sporcare l’acqua (di favorire l’immigrazione clandestina e di violare le leggi), così che egli (la nave di una ong) non poteva avvicinarsi al porto. L’agnello (la capitana della nave) gli fece notare che per bere (sbarcare), sfiorava appena l’acqua (non creava danno ad alcuno, anzi…) e che, d’altra parte, stando a valle (in mare aperto) non gli era possibile intorbidire la corrente a monte (creare insicurezza per gli italiani).

Venutogli meno quel pretesto, il lupo (Matteo Salvini) allora gli (le)disse: «Ma tu sei quello (una nave ong) che l’anno scorso (altre volte) ha insultato mio padre (ha soccorso migranti per scaricarli sulle nostre coste). E l’agnello (la capitana) a spiegargli che a quella data non era ancora nato (quei poveracci a più riprese rischiano di morire affogati). «Bene» concluse il lupo (Matteo Salvini), «se tu sei così bravo (brava) a trovare delle scuse, io non posso mica rinunciare a mangiarti (a farti arrestare per aver violato le nostre leggi…).

La differenza sta tutta nel fatto che non si è trattato di una favola, di un brutto sogno, ma di una squallida pagliacciata che affascina la gente. Con le premesse poste da un governo di incompetenti e di prepotenti poteva finire anche peggio. Siccome la retorica più maligna è ormai di casa nel nostro Paese, mi permetto di scivolare nella retorica benigna, citando quanto afferma Gérard davanti alla follia rivoluzionaria, che condanna a morte Andrea Chenier, nell’omonima opera di Umberto Giordano: “Odila, o popolo, là è la patria, dove si muore colla spada in pugno! Non qui dove le uccidi i suoi poeti”. Azzardo un’altra parafrasi, di fronte alla follia leghista che se ne frega altamente della vita degli immigrati per raccattare più voti possibili: “Odila o popolo, in mare aperto è la patria, dove si muore affogati per fuggire alle violenze di ogni tipo! Non qui dove si mettono in galera gli operatori delle organizzazioni non governative”.

Seppure sotto strane metafore mi sono sfogato e ho detto (quasi) tutto. Non so se ci sono riuscito, comunque non mi sento di aggiungere altro.