La cucineria degli orchi

Che la furia omicida si scateni sui soggetti più deboli è la legge della jungla a prevederlo. Ma la jungla non spiega nel modo più assoluto l’uccisione dei piccoli da parte dei genitori. Un leone e una leonessa non ammazzano i propri cuccioli, anzi li difendono con le unghie e coi denti fino ad ammazzare eventuali aggressori. I ripetuti fatti di cronaca, che vedono bambini o ragazzi fatti fuori o vessati dai famigliari, costituiscono ormai un vero e proprio campionario nel quale troviamo una inquietante casistica di genitori, che collaudano sulla pelle dei figli le loro convinzione religiose (figlie picchiate e uccise perché si vestono e si comportano all’occidentale, bambini morti dissanguati in quanto sottoposti artigianalmente a circoncisione, neonati lasciati morire senza l’ausilio di trasfusioni sanguigne), le loro scelte igienico sanitarie (ragazzini che muoiono per fanatica fiducia  nelle terapie alternative, bambini messi allo sbaraglio col rifiuto della somministrazione di vaccini), che sfogano il fastidio e l’ingombro che i bambini procurano (più sul piano psicologico che socio-economico), che fanno oggetto figli e figliastri di inaudite violenze sessuali. C’è da rimanere veramente sconvolti. Non esiste manuale (di psicologia, di criminologia, di religione, di etica) convincente nel trovare, ma soprattutto per giustificare le cause prossime e remote di simili fatti (direttamente o indirettamente) di sangue. O stiamo impazzendo tutti di egoismo e di insofferenza o la strage degli innocenti, dalla guerra alla fame, dalla tortura allo sfruttamento, si sta trasferendo, a pieno titolo, all’interno delle mura domestiche.

Si è sempre saputo che i maltrattamenti dell’infanzia, anche i più efferati e brutali, avvengono soprattutto nelle famiglie.  Niente di nuovo quindi. La modernità del fenomeno consiste nella sostanziale banalità delle motivazioni e nelle blasfeme spiegazioni fornite. Mi soffermo soprattutto sugli episodi più cruenti e violenti. Certe mamme lasciano uccidere i propri figli per paura di essere lasciate dai loro conviventi, i padri ammazzano i figli perché disturbano il sonno: i figli stanno diventando un peso insopportabile per le strane combinazioni esistenziali delle (non) famiglie. Mi sembra che la denatalità non sia tanto dovuta alle ristrettezze economiche e alle difficoltà sociali, ma alla concezione profondamente errata della genitorialità: il figlio visto come ospite incomodo e sgradito. Questa mentalità piuttosto diffusa trova il suo drammatico o tragico epilogo nelle situazioni più a rischio.

Viviamo il paradosso entro il quale chi poterebbe procreare non lo fa e, se lo fa, tratta i figli come pezze da piedi, mentre chi non può avere figli fa i salti mortali per poterli ottenere; chi può tranquillamente sposarsi non lo fa per prudenza, paura e ritrosia a contrarre vincoli, mentre chi vede preclusa la strada dell’unione matrimoniale (si pensi alle coppie omosessuali e alla costrizione celibataria dei sacerdoti) la desidera ardentemente.

Se i miei genitori avessero fatto i conti con la loro povertà, io non sarei mai nato. Invece non solo sono venuto alla luce, ma sono diventato l’oggetto di tutte le loro attenzioni. Quando stavo assieme a mio padre e mia madre o anche a uno solo dei due, ero e mi sentivo al centro della situazione. Mio padre sosteneva provocatoriamente che non avrebbe mai osato alzare una mano su di me, anche se avessi dato fuoco alla casa. Si partiva da queste convinzioni da cui non si poteva prescindere. Oggi osservo i quadretti famigliari e spesso ne resto disgustato: i bambini sono l’ultima ruota del carro, un inciampo, un ostacolo. Lo si legge in viso a molti genitori. Si dà la colpa ai ritmi ossessionanti della nostra società, allo stress da lavoro, alle difficoltà di vario genere. Non mi convincono!

Se la Chiesa, che ripetutamente individua nella crisi famigliare il motivo fondamentale dei nostri guai, intende richiamare ad un maggior senso di responsabilità interno ed esterno alle famiglie, ha perfettamente ragione. Non è questione di dogmatica indissolubilità del matrimonio, non è imprigionando la sessualità nella procreazione, non è costringendo a tutti i costi la maternità, non è impedendo i rapporti sessuali prematrimoniali, non è esigendo tout court il sacramento a suggello delle unioni, non è vietando il controllo delle nascite, non è escludendo a priori le convivenze civili, non è esorcizzando l’omosessualità, non è tornando alla famiglia focolare domestico, in cui ricacciare il ruolo della donna, che aiutiamo la gente a ritrovare il senso di mettere al mondo, educare, crescere ed amare i figli. La tentazione di tuffarsi acriticamente nel passato può essere grande, ma non serve a nulla, da nessun punto di vista.

Diamoci comunque una regolata, non soltanto per criminalizzare gli autori dei fatti più sconvolgenti ed incresciosi, ma per ritrovare quel senso di umanità che dovrebbe preservarci dalla jungla del nostro egoismo, dall’allargare la stiva dei barconi fino alle stanze delle nostre case. Vale per come trattiamo i bambini, vale per come trattiamo gli anziani, vale per come trattiamo le donne, vale per come consideriamo i diversi, vale per come ci rapportiamo con i nostri simili, con gli animali e con la natura tutta.